In occasione della lunga diretta streaming dell’evento di Telefisco del 2 febbraio scorso, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta su molti punti del D.L. 22/10/2016, n. 193 ed ha dato una repentina interpretazione anche al nuovo contenuto dell’art. 32 del D.P.R. n. 600/73.
Negli interventi che si sono susseguiti si è limitata a sostenere che laddove non vi è un’attività economica, non si applicano presunzioni per i prelevamenti. Ha ricordato la sussistenza della lunga circolare n. 32/E del 2006 e riferito che per i versamenti non giustificati la presunzione che gli stessi possono diventare ricavi, si applica a tutti i soggetti passivi anche lavoratori dipendenti. E’ stato aggiunto anche che le modifiche non hanno effetto retroattivo.
In particolare le modifiche apportate riguardano i prelevamenti effettuati da soggetti esercenti attività di impresa. Per questi soggetti è utile ricordare che soggiacciono ai poteri degli Uffici Finanziari che in base alle modifiche apportate al comma 1 n. 2) dell’art. 32 del D.P.R. n. 600/73, possono imputare come ricavi i prelevamenti di importo superiore a 1.000 euro giornalieri e, comunque a 5.000 euro mensili. Quanto innanzi a partire dal 3/12/2016 (data di entrata in vigore del D.L. 22/10/2016, n. 193, art. 7 quater).
Nell’art. 32/600 c. 1 n. 2) riscritto con le modifiche si legge infatti:
“…(omissis) sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi (ndr è stata tolta la parola compensi) a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché’ non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni per importi superiori a euro 1.000 giornalieri e, comunque, a euro 5.000 mensili”.
I limiti posti di 1.000 e 5.000 appaiono abbastanza bassi specialmente per chi esercita un’attività economica. Ma non si può dire che chi preleva del contante in banca oltre i limiti imposti sia un evasore e che quanto ha prelevato debba essere considerato ricavo. Basterà dare dimostrazione dell’uso che se né fatto del prelievo. Non si può escludere a priori che possono esservi prelievi pienamente giustificati e/o di natura straordinaria che ben possono trovare giustificazione del prelievo effettuato.
E utile tener presente su questo punto quanto riportato nella predetta circolare n. 32/E del 2006 che a pag. 110 asserisce:
“Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, si ritiene opportuno che gli uffici procedenti, sotto il profilo operativo, si astengano da una valutazione degli elementi acquisiti – non solo dai conti correnti ma da qualsiasi altro rapporto od operazione oggi suscettibili di indagine – particolarmente rigida e formale, tale da trascurare le eventuali dimostrazioni, anche di natura presuntiva, che trattasi di spese non aventi rilevanza fiscale sia per la loro esiguità, sia per la loro occasionalità e, comunque, per la loro coerenza con il tenore di vita rapportabile al volume di affari dichiarato”.
Nelle modifiche apportate è stata eliminata la presunzione sui compensi per i lavoratori autonomi e, quindi, non costituisce elemento di presunzione di importi non dichiarati il prelievo non giustificato da parte dei lavoratori autonomi. La modifica è in linea con quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con Sentenza del 07/1072014 n. 228.
Le presunzioni dell’art. 32/600, così come modificato, si applicherebbero anche ai soggetti minimi che, come è noto, non sono tenuti all’obbligo delle scritture contabili. Questo è stato sostenuto negli interventi fatti dall’Agenzia delle Entrate. Senza le scritture contabili riesce ancor più difficile dimostrare, a distanza di anni, cosa se ne è fatto del prelievo dei 1.100 euro effettuato in una certa data.
Sarebbe opportuno avere in tempi brevi una nuova circolare dall’Agenzia delle Entrate che indichi non soltanto gli indizi di presunzione, ma anche suggerimenti operativi su come il contribuente potrà difendersi e dare dimostrazione che l’importo prelevato non è elemento di presunzione di evasione. Occorrerebbe, quindi, ribadire e ampliare alcuni concetti, in parte già presenti nella menzionata circolare del 19.10.2006, n. 32/E ed esprimerli in maniera chiara e in “parentesi allargate”, come si usa dire.
Questo dovrebbe essere possibile con la “Cooperative compliance”, ovvero di quel sistema basato sul regime di adempimento collaborativo tra contribuente e Agenzia delle Entrate.
E’ auspicabile che l’Agenzia delle Entrate e gli Organi preposti agli accertamenti si prefiggano due obiettivi: il primo combattere l’evasione e il secondo difendere i contribuenti onesti.
Certo combattere l’evasione non è facile. Lo dimostra anche il fatto che in oltre trent’anni l’art. 32/600 è stato cambiato 11 volte. Sul sito del MEF si leggono – a dir vero con buona utilità – tutte le modifiche apportate che qui si elencano dalla più recente alla più remota. Si parte dall’1/01/1974 per pervenire ad oggi, con l’ultima modifica entrata in vigore il 3/12/2016.
Per data decrescente nel tempo, le modifiche all’art. 32/600:
- In vigore dal 03/12/2016
- In vigore dal 06/07/2011
- In vigore dal 05/08/2009
- In vigore dal 04/07/2006
- In vigore dal 04/10/2005
- In vigore dal 01/01/2005
- In vigore dal 09/03/1999
- In vigore dal 01/01/1998
- In vigore dal 01/01/1996
- In vigore dal 01/01/1992
- In vigore dal 24/07/1982
- In vigore dal 01/01/1974
Prima di chiudere si riportano le conclusioni della Sentenza della Corte Costituzionale del 07/10/2014 n. 228 per i lavoratori autonomi:
“Pertanto nel caso di specie la presunzione è lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito. Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, numero 2), secondo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), come modificato dall’art. 1, comma 402, lettera a), numero 1), della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), limitatamente alle parole «o compensi». Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 settembre 2014”.
Luca De Franciscis
dottore commercialista