Scontro delle civiltà sul terreno fu l’attacco alle Torri Gemelle, scontro delle civiltà fu la proclamazione del Califfato in certe aree di Iraq e Siria (gli arabi lo chiamano meno pomposamente DAESH), scontro delle civiltà, almeno allo stato potenziale, è l’afflusso di musulmani nei paesi occidentali e massimamente negli Stati Uniti.
Non importa se i musulmani siano praticanti o sensibili ai richiami dell’integralismo religioso e dell’estremismo politico. Non importa se essi abbiano regolare permesso di soggiorno (la carta verde) o altro titolo che consenta loro di stare negli States o di raggiungerli se si trovano fuori. Importa che, provenendo da una certa lista di paesi a rischio (una volta l’Amministrazione americana usava la definizione di rogue states, stati canaglia), vanno sottoposti a tali e tanti controlli da renderne difficile l’approdo negli Stati Uniti.
Da qui i ricorsi ai Tribunali di varia istanza e da qui le decisioni di alcuni Tribunali di sospendere l’applicazione dell’ordine presidenziale. Nasce allora un conflitto fra potere esecutivo e potere giudiziario su chi abbia la facoltà (il dovere, sostiene il Presidente) di vigilare sulla sicurezza dei cittadini e soprattutto con quali mezzi legali.
Nel caso europeo lo scontro delle civiltà è stato lungamente avversato da parte degli intellettuali e dei politici, tutti protesi a dimostrarne l’insussistenza come principio regolatore degli scambi umani. Salvo riconoscere che lo scontro avviene ma è opera di gruppi sparuti che non impegna il comportamento della maggioranza e soprattutto non riguarda la religione in quanto tale.
Le religioni monoteiste – lo si ripete ad ogni dialogo interreligioso – sono dottrine di pace, essenzialmente umaniste e umanitarie, non certo fautrici di scontri né di guerre. Il jihad che taluni predicano e attuano sarebbe appannaggio di singoli individui che possono essere fronteggiati con le norme dello stato di diritto. E’ quanto si ripete ad ogni attentato terroristico: la paura non ci deve fare deviare dal nostro stile di vita e segnatamente dalle guarentigie giuridiche che abbiamo costruito dalla Rivoluzione francese in poi.
I pericoli per la sicurezza pubblica si confondono con il fenomeno dell’immigrazione incontrollata. All’interno della quale si confonde la migrazione politica (i profughi da guerre e persecuzioni) con la migrazione economica (i disperati dell’economia depressa e della fame). I numeri sono pressoché costanti nel tempo.
L’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) sostiene che l’inizio del 2017 è meno affollato di arrivi del corrispondente periodo 2016. Ma i numeri restano alti. In questo scorcio dell’anno sono arrivati via mare in Europa 11.169 migranti e rifugiati, di cui circa l’85% (9.355) in Italia e Grecia. Nello stesso periodo sono periti in mare 258 individui, 231 dei quali lungo la rotta fra l’Africa settentrionale e l’Italia. Anche in questo caso si registra una riduzione del numero delle vittime rispetto al 2016, per quanto una contabilità del genere possa rassicurare.
L’impatto dei migranti a vario titolo si riflette sulle istituzioni e sulle comunità. Le prime sono chiamate ad uno sforzo straordinario di contenimento e salvataggio. Le seconde sono chiamate a contribuire all’accoglienza. E qui sorgono i problemi di natura sociale che, volti a fini elettorali, possono dare una spinta ai partiti cosiddetti populisti.
La definizione di populisti è imprecisa: pone sotto la stessa sigla concezioni di segno differente che hanno il solo tratto comune della vaghezza ideologica. La vaghezza è funzionale al messaggio che intendono lanciare. In sostanza non si tratta di essere più o meno umanitari – lo siamo tutti fino a prova contraria. Si tratta di tutelare le comunità territoriali sotto il profilo sociale e dell’integrità culturale. Lo scontro delle civiltà va prevenuto evitando le contaminazioni.
Cosimo Risi