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La società del futuro (di Angelo Giubileo)

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Siamo 7,5 miliardi di persone. Nel 1950, appena 2,5 miliardi. Nel 2050, si stima, 9,7 miliardi. Molti pensano addirittura che le “forme” della politica – così come uscita dal secondo conflitto mondiale – abbiano ancora un valore pregnante, ma così di fatto non è più da decenni.

Altri invece, molto pragmaticamente, arrivano perfino a domandarsi se la politica nel mondo di oggi abbia ancora un senso.

In ordine a tali complesse domande, ritengo sia sufficiente proporne, a esempio significante, anche una soltanto: cosa s’intende dire affermando che i cittadini dovrebbero partecipare attivamente ai processi delle decisioni politiche che occorre assumere? Per giunta, quotidianamente e in un mondo per la maggior parte globale? Se devono farlo, allora le “forme” del mondo parallelo e virtuale d’internet senz’altro sarebbero maggiormente adeguate. Il “populismo”, che davvero non si sa cosa sia, non c’entra affatto. Nell’ambito dei diversi social network, si tratterebbe piuttosto di trovare le modalità e le regole per un uso che potremmo definire “corretto”. In sintesi, l’uso di uno strumento virtuale, che sostituisca quello di una politica “modello-ancien regime”, per la definizione di scelte “primarie” a cui facciano seguito le decisioni “secondarie”.

Nel mondo post-bellico – non solo in Italia, comunque esempio di paese, approssimando, di grande tradizione “culturale” e di buona tradizione “civile” -, l’organizzazione della società è dipesa essenzialmente dalla politica, che tuttavia ha abusato del ruolo e soprattutto della funzione strumentale di dirigere e sovrintendere anche ai processi di natura viceversa economici. Oggi, in Italia, l’esito è un mercato per la maggior parte asfittico e poco competitivo, che non può avere alcuna risposta da una politica che guarda al passato, a quelli che furono gli anni del dopoguerra.

Angelo Giubileo

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