Il pericoloso limite del leaderismo (di Tony Ardito)

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Che il Partito Democratico, nato nel 2007 dalla eredità de L’Ulivo di Romano Prodi, fosse il frutto del paziente lavoro compiuto da Walter Veltroni e Francesco Rutelli, come della esigenza delle rispettive compagini – Democratici di Sinistra e La Margherita – di essere al passo con la accelerazione impressa da Silvio Berlusconi sul bipolarismo, appare piuttosto chiaro, tuttavia oggi più di ieri è evidente che il PD, benché strutturata forza politica, non riesce proprio a gestire i “post sconfitta”, in particolare l’ultimo, ovvero quello riferito alla riforma Boschi che ne ha evidenziato, una ad una, tutte le contraddizioni.

La netta vittoria del no, determinata pure da una fetta consistente dello stesso PD, ha decretato la caduta del governo Renzi e l’inizio del periodo più difficile per il popolo dem. Il segretario, non aveva voluto recepire i tanti segnali avversi facendo harakiri nel tentativo di conseguire un successo probabilmente più personale che politico.

Eppure il Partito Democratico, nella singolare contingenza di questa legislatura, ha assunto l’onore di determinare la composizione e la guida di ben tre governi, senza il vaglio delle urne, garantendo stabilità e conseguendo anche qualche utile risultato per il Paese. Ieri, dopo una lacerante vigilia è giunto il sofferto annuncio del segretario di dimissioni, ma no di resa, anzi. Ciononostante non si è ancora allontanato lo spettro della scissione; la minoranza, nel corso di una animata assemblea si è dichiarata insoddisfatta e il dubbio e la incertezza accompagnano la fase congressuale appena avviata.

In un recente passato, medesima sorte, era toccata a Berlusconi ed al suo progetto di “Casa delle Libertà” in cui era abilmente riuscito ad allocare, con amplissimo consenso, larga parte di coloro che si riconoscevano e riconoscono nel centro-destra. Tutto in breve è stato fagocitato da una tempesta di clamorosi errori, alcuni non ascrivibili all’ex premier, ed ha compromesso, con tanto altro, persino quella che fu la sua supercorazzata, Forza Italia.

Al di là di ogni cosa, si registra il fallimento del leaderismo, che su taluni, anzi su tanti, agisce come un dannoso virus. Qualsivoglia organizzazione sociale trae beneficio dalla capacità del leader di affermarsi quale punto di riferimento e guida; quando, invece, si sfocia nella autoreferenzialità, spesso si finisce per nuocere molto più che alla sola posizione personale.

Moro, Berlinguer, Almirante, Craxi, Pannella ed altri come loro, con i doverosi distinguo ed oltre le legittime riserve che ciascuno può serbare, ebbero probabilmente piena la consapevolezza del ruolo e della responsabilità assunti, coscienti di essere, per quanto longevi, solo pro tempore vertice di organizzazioni al servizio delle istituzioni democratiche, della Nazione e soprattutto del popolo italiano. La differenza tra il vecchio ed il nuovo, forse, è pure in questo.


editoriale a cura di Tony Ardito

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