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Aldo Moro, l’insanabile dolore di verità taciute (di Tony Ardito)

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Giovedì 16 marzo 1978, giorno in cui il IV governo Andreotti si sarebbe presentato in Parlamento per ottenere la fiducia, le Brigate Rosse, con una lucidissima azione criminale, raggiungono il culmine della loro strategia del terrore. A Roma, alle 09:02, in via Fani, all’incrocio con via Stresa, un commando di terroristi rapisce il presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, ed uccide i cinque uomini della scorta: il maresciallo Oreste Leonardi, l’appuntato Domenico Ricci dei Carabinieri, il vicebrigadiere Francesco Zizzi, gli agenti Raffaele Jozzino e Giuliano Rivera della Pubblica Sicurezza.

La prigionia di Moro durò 55 giorni, durante i quali il cosiddetto “tribunale del popolo” lo sottopose ad un processo politico e ne decretò la condanna a morte. Il 9 maggio il cadavere dello statista fu fatto ritrovare nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, parcheggiata in via Caetani, nel cuore della capitale.

Quello sul caso Moro è il capitolo più buio della storia recente del nostro Paese e della Repubblica e sino a quando non si farà piena luce, probabilmente non riusciremo neppure a comprendere fino in fondo il perché di tutto ciò che ne è conseguito, dalla mattina del suo rapimento ad oggi. Due commissioni parlamentari di inchiesta, milioni di pagine agli atti, numerosi processi hanno peraltro accertato reticenze ed omissioni gravissime ed ingerenze, depistaggi e trame internazionali. Ciononostante, è grande il mistero che ancora ci separa dalla verità.

Gero Grassi, vicepresidente del Gruppo PD alla Camera, che della Commissione Moro 2 è tra i componenti più attivi, ha deciso di intraprendere una vera e propria crociata, probabilmente rischiando anche di suo, pur di giungere ad un punto definito sulla vicenda. Gira in lungo e largo l’Italia; racconta con passione, dovizia ed assoluto rigore fatti e circostanze – taluni al limite dell’incredibile – tutti assolutamente documentati, allo scopo di tener desta la memoria e la attenzione delle Istituzioni, delle giovani generazioni  e della opinione pubblica.

La scorsa settimana, il colonnello Luigi Ripani, comandante dei Ris, nel corso di una audizione della Commissione, ha ricostruito la dinamica della morte di Moro e dimostrato che la versione fornita dai brigatisti è falsa. Il leader democristiano viene colpito da 12 proiettili, una prima serie di tre colpi esplosi da una Skorpion calibro 9 quando “è seduto sul pianale, sopra la coperta, con il busto eretto e le spalle rivolte verso l’interno dell’abitacolo”. Quindi, non steso e coperto – poi da altri colpi –  ed infine da altri due, di cui uno esploso da una Walther Pkk calibro 7.65.

“Se questo crimine fosse perpetrato, si aprirebbe una spirale che voi non potreste fronteggiare…”, così Aldo Moro scriveva dalla sua prigione all’allora segretario della DC, Benigno Zaccagnini. Quel crimine purtroppo si perpetrò, e quella spirale ha finito con l’inghiottire, nel tempo, un processo ed una visione altra della politica, della coesione sociale e del servizio alle Istituzioni democratiche.

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