La occupazione al femminile secondo l’Istat è in aumento, ma peggiora la qualità del lavoro. C’è poi l’obiettivo richiesto dall’Europa, non ancora raggiunto: almeno il 50% di occupate.
Sono le donne a sperimentare più degli uomini la precarietà, ad avere delle retribuzioni inferiori alla media. Studiano, si laureano, tuttavia poi l’impiego, se e quando arriva, sovente non ripaga meriti ed aspettative. Le disuguaglianze, quindi, sussistono e in taluni casi, si sono acuite con le difficoltà della contingenza.
Quelle con meno di 25 anni, sono coloro che incontrano maggiori ostacoli. Per esse è più complicato entrare nel mondo del lavoro e quando ci riescono, spesso l’occupazione risulta iniqua ed è pure più facile che si possa perdere.
Una precarietà la quale non di rado costringe a rimandare o addirittura rinunciare ai propri progetti di vita. Un figlio che arriva continua a costituire un rischio per il futuro occupazionale, anche perché è sempre più complicato conciliare gli impegni in famiglia. Siamo primi nel cosiddetto part-time involontario, ovvero quello non richiesto, ma imposto dal datore di lavoro per risparmiare sui costi; praticamente doppio rispetto al resto d’Europa. Chi invece vorrebbe il part-time, spesso non lo ottiene. Ed allora, si impone la scelta tra carriera e famiglia.
Non è dunque soltanto una mera e fredda questione di numeri, ma di cultura e civiltà e, direi, soprattutto di coraggio e volontà. I passi in avanti compiuti negli ultimi anni non sono stati evidentemente bastevoli a colmare gap ancora ingiustificabili ed a bilanciare il rapporto donna-uomo sul versante delle pari opportunità e della meritocrazia, nonché nei luoghi della rappresentanza democratica in cui è purtroppo una norma ispirata da principii “aritmetici” (quote rosa) a salvaguardare la presenza femminile. Tuttavia, il pericolo è che una interpretazione strumentale e distorta dello status quo potrebbe favorire, se non addirittura acuire, una guerra fra poveri i cui effetti cagionerebbero pericolosi danni per tutti.
Riconoscere, a prescindere, i diritti e rispettare la dignità di ciascuno è il pilastro di una convivenza civile e rappresenta il fondamento su cui strutturare una organizzazione sociale nella quale nessuno, per alcuna ragione, debba doversi sentire discriminato o peggio, cittadino di serie B.
Il cammino da fare è ancora lungo.
editoriale a cura di Tony Ardito
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