Secondo i dati riportati da Studio Cataldi, la patologia causa tassi dal 13% al 51% di assenteismo a scuola e dal 5% al 15% di assenteismo nel lavoro. Da qui la proposta che prende il via anche dal dibattito avviato negli Stati Uniti e riacceso di recente dalla decisione di un’azienda di Bristol, la Coexist, di inserire nello statuto l’esenzione dal lavoro per le impiegate nei giorni di picco del ciclo mestruale.
I contenuti della proposta. Previa certificazione da parte di un medico specialista debitamente presentata al datore di lavoro, la donna che soffre di dismenorrea avrà diritto ad astenersi dal lavoro per un massimo di tre giorni al mese. La certificazione medica va rinnovata ogni anno entro il 31 dicembre e presentata al datore di lavoro entro il successivo 30 gennaio.
Contributi e indennità piena. Durante l’astensione dal lavoro per “congedo mestruale”, alla donna saranno comunque dovute una contribuzione piena ed una indennità pari al 100% della retribuzione giornaliera. In pratica, non le verranno detratti i soldi dallo stipendio. Inoltre, i giorni in cui si resterà a casa non possono essere equiparati ad altre cause di assenza dal lavoro, a partire dalla malattia. Non deve esserci nessuna assimilazione tra i due tipi di permessi, né dal punto di vista retributivo né dal punto di vista contributivo.
Chi può usufruirne. La proposta di legge tutela tutte le donne lavoratrici, con contratti di lavoro subordinato, o parasubordinato, a tempo pieno o part time, a tempo indeterminato, determinato o a progetto.
In altri Paesi del mondo, il permesso causa ciclo esiste da anni: in Giappone era già presente nel 1947 e in Indonesia nel 1948. Recentemente, il congedo per chi soffre di dismenorrea è stato adottato nel 2001 in Sud Corea e a Taiwan nel 2013. In Oriente esiste, infatti, la credenza che se le donne non si riposano nei giorni del ciclo avranno poi difficoltà durante il parto: il permesso è vissuto come una forma di protezione della natività.
Fonte Il vescovado.it