Si riapre così una forbice tra carovita e buste paga, a svantaggio di quest’ultime, che non si vedeva da anni, per ritrovare una crescita dei prezzi superiore a quella dei salari bisogna tornare indietro di quasi quattro anni, a marzo 2013.
Dunque, i prezzi viaggiano a una velocità doppia rispetto agli stipendi, con tutto ciò che ne consegue in termini di perdita del potere d’acquisto.
Già a dicembre 2016 l’inflazione (+0,5%) aveva sorpassato le retribuzioni (+0,4%), ma per un solo decimale. Quanto ai mesi che verranno, per febbraio le stime sui prezzi sono già uscite e indicano un +1,5%. Un dato che fa pensare a un allargamento del divario.
Forse qualcosa potrebbe cambiare quando i metalmeccanici intascheranno gli aumenti previsti dal rinnovo firmato a fine novembre scorso.
Sul fronte prezzi invece la fiammata registrata a inizio anno potrebbe rientrare nei ranghi, visto che le attese di consumatori e imprenditori non indicano pressioni al rialzo, come riportato dallo stesso Istat nella nota mensile su febbraio.
Di certo, sulla dinamica delle retribuzioni pesa lo stop della contrattazione nel pubblico impiego, con circa 3 milioni di dipendenti interessati. Lo sblocco per gli statali sembra ormai solo questione di mesi, le trattative dovrebbero aprirsi in primavera ma per vedere gli effetti in busta paga ci vorrà ancora.
Ma cosa ne sarà del potere d’acquisto? ormai ci si era abituati a un percorso in crescita (+2,3% tra gennaio e settembre del 2016 in termini tendenziali) ma gli ultimi mesi non deputano più a favore della capacità di spesa.
Se i prezzi salgono più delle retribuzioni il reddito reale non potrà che scendere. Tuttavia la deflazione, in cui l’Italia era piombata, non era certo un ‘toccasana’ per l’economia, mentre la fase di assestamento su una dinamica positiva dei prezzi indica anche una ripresa del sistema.
I prezzi tornerebbero quindi osservati speciali; ovviamente, in caso di un eventuale aumento dell’Iva, cosa che sarebbe ancora tra le scelte possibili, anche se in ribasso del ministero dell’Economia. Secondo Confesercenti inciderebbe con un aumento di 305 € a famiglia e rallenterebbe i consumi.
Editoriale a cura di Tony Ardito – giornalista