La Dichiarazione europea di Roma 2017 (di Cosimo Risi)

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Are you going with me? è il pezzo composto da Pat Metheny nel 1983 e puntualmente da lui eseguito in ogni concerto. Un virtuosismo di chitarra (la sua), archi, piano, fiati. Nessuno va col Regno Unito nella procedura di recesso, Brexit non costituisce precedente. I Ventisette Capi di Stato o di Governo, assieme ai Presidenti della Commissione, del Parlamento europeo, del Consiglio europeo,  firmano la Dichiarazione di Roma in un Campidoglio assolato come solo Roma sa essere in questa stagione. Per la firma Juncker  adopera la stessa penna che il suo lontano predecessore lussemburghese adoperò nel 1957 nella stessa sala degli Orazi e Curiazi.

Una certa dose di retorica ci vuole per contrastare con buoni simboli i simboli cattivi che vengono da ogni dove, persino dall’interno stesso dell’Unione. In epoca di immagini e di comunicazione a volte fuorvianti, la sincerità fa premio. Non che da domani il destino d’Europa cambi, i problemi potrebbero essere gli stessi, vale lo spirito nuovo che la Dichiarazione cerca d’infondere nel sistema.

La Dichiarazione è un documento politico, giuridicamente non vincolante, abbastanza generico e generale per coprire istanze diverse. Ma con alcuni punti fermi, il più importante dei quali è collocato in calce: “Ci siamo uniti per un buon fine. L’Europa è il nostro futuro comune”.

L’orgoglio pervade la parte iniziale: il peso dell’eredità dei padri fondatori non sempre onorata adeguatamente, ma che pur tuttavia resta. Non è un caso che il linguaggio scivoli da Unione a Europa quasi trattandole da sinonimi. Il benessere dell’Unione influenza il benessere dell’Europa continente, anche dei paesi che non ne fanno parte ora né, probabilmente.

I problemi attorno all’Europa abbondano: conflitti regionali, terrorismo, pressioni migratorie, protezionismo, diseguaglianze sociali ed economiche. Insieme – sostengono i leader dei Ventisette – le sfide possono essere affrontate per “offrire ai cittadini sicurezza e nuove opportunità”.

Meglio sarebbe procedere uniti per influenzare le grandi scelte del mondo. Il procedere a ritmi e con intensità diverse è contemplato, a condizione di lasciare margine a chi voglia associarsi successivamente: “la nostra Unione è indivisa e indivisibile”.

Per passare alle strategie comuni la Dichiarazione si sofferma su alcuni punti dell’agenda internazionale. Sicurezza: protezione delle frontiere esterne, per lasciare libere le frontiere interne; politica migratoria efficace; lotta al terrorismo ed alla criminalità organizzata. Prosperità: recuperare il divario fra inclusi ed esclusi, specie se questi ultimi abbondano fra i giovani; crescita attraverso investimenti e riforme strutturali; energia sicura; ambiente pulito. Socialità: coesione e convergenza fra territori e fasce sociali; posti di lavoro; tutela del patrimonio culturale.

Sul ruolo europeo nella scena mondiale la Dichiarazione spende le parole più significative, ao contrastare l’impressione che la vorrebbe ripiegata sugli affari interni. L’Unione deve assumersi maggiori responsabilità nelle crisi mondiali a cominciare da quelle prossime, specie in Medio Oriente e Africa.

La sua capacità di risposta va adeguata mettendo in opera la strumentazione del Trattato sulla politica di sicurezza e difesa. Il riferimento d’obbligo va alla NATO e all’ONU, ma con un ruolo europeo  più incisivo nei fori multilaterali.

La Dichiarazione può essere letta in positivo e in negativo. Alcune affermazioni vanno nel senso di ripristinare un’idea d’Europa terribilmente appannata dalla crisi finanziaria in poi, su cui si appuntano i movimenti anti-europeistici per la loro campagna sovranista.   Sul vertice di Roma ha aleggiato il sollievo per lo scampato pericolo dopo le elezioni in Austria e Paesi Bassi, mentre resta viva l’attesa per quanto accadrà in Francia, Germania, Italia.

La guardia resta alta. Persino i peculiari governi di Polonia e Ungheria hanno giocato  il gioco senza accentuare i distinguo rispetto alla costruzione comune. In negativo si può osservare che nessuno ha voluto davvero rovinare la festa in Campidoglio e che l’appuntamento con le riserve di fondo è solo rinviato ad occasioni meno pubbliche.

Cosimo Risi

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