Le telecamere sono pronte a registrare i minimi dettagli, indugiano sul portamento delle persone, sul loro abbigliamento, sulle reazioni degli astanti. Francois Hollande, poco amato e poco fortunato da Presidente, lascia l’Eliseo col sorriso e salutato dall’applauso della piccola folla.
A smentire la fine dei partiti, si reca subito dopo alla sede del Partito Socialista: a rilevare che senza di loro, i “compagni”, mai sarebbe arrivato all’Eliseo e mai avrebbe lasciato il paese meglio di come l’aveva trovato.
Emmanuel Macron, che col suo movimento En marche (ora République en marche) ha certificato la fine dei partiti tradizionali, s’insedia nel sollievo pressoché generale dell’opinione pubblica europea e nell’incertezza altrettanto generale circa la coalizione che ne sosterrà il programma.
Ecco, il programma. Nel discorso d’insediamento gioca sul tasto della modernità, alludendo alla sua giovane età che darebbe appunto garanzie di freschezza e dinamismo. Basta con le divisioni, con il ritorno al passato (Le Pen), avanti verso l’avvenire.
Quale avvenire, lo dice in qualche parola. Francia democratica, sicura di sé, prospera, in seno ad un’Europa (l’Unione) parimenti prospera, sicura di sé, “custode della sovranità”. E’ questo il passaggio probabilmente chiave del discorso.
Tutta la disputa attorno all’Unione si gioca sulla nozione di sovranità. Quanto della sovranità nazionale gli stati membri siano disposti a trasferire alle istituzioni di Bruxelles e Francoforte e quanto la volontaria privazione delegittimi il potere interno.
Il ritorno alle monete nazionali, il referendum sull’appartenenza all’Unione su questo si basano: sul rifiuto a trasferire ulteriori quote di sovranità, possibilmente a riprendere in tutto o in parte quelle già trasferite.
La Francia è un paese profondamente sovranista, tiene alla sua “grandeur” (grandezza) ed alla sua “force de frappe” (forza d’urto), tant’è che il passaggio di consegne fra il vecchio e il nuovo Presidente si sostanzia nel passaggio dei codici nucleari alla presenza del Capo di Stato Maggiore.
Se la Francia, nelle parole di Macron, riconosce la propria sovranità dentro la sovranità europea può essere una frase ad effetto, ad uso degli europeisti che hanno tifato per lui sin dall’inizio. Può essere pure una affermazione di principio che aiuterà il processo d’integrazione.
La battaglia avverso i populisti è stata vinta sul terreno elettorale, ma quei movimenti hanno molti e comprensibili argomenti a loro favore. Non basta la sconfitta tutto sommato scontata di Marine Le Pen per destituire di significato quanto propugnano. La battaglia è di lunga lena e va continuata nelle sedi opportune, fra Bruxelles e Francoforte.
La prima missione all’estero del nuovo Presidente si svolgerà, come da tradizione, a Berlino. Ad attenderlo la Cancelliera Merkel ed il Presidente Steinmeier. Il secondo è stato appena eletto alla guida del paese, la prima sta per affrontare per la quarta volta la corsa al cancellierato. La Germania è il primo banco di prova dell’europeismo e del modernismo di Macron. Ricollegare la Germania al convoglio europeo significa dare fiato a quanti dell’Unione vogliono l’effettivo rilancio. Il modernismo non si esaurisce nell’età anagrafica.