La mostra ordinata da Maria Apicella ricostruisce, attraverso trenta opere la produzione più recente dell’artista vietrese, creatore di volumi raffinati, sinuosi e di forme pure e sintetiche che, traendo origine dal dato reale e naturale, trovano completezza nell’immaginario fantastico popolare.
Con leggerezza fiabesca D’Acunto plasma i suoi pinocchi che corrono sospesi alla conquista di un’identità, mentre i tori e cavalli con fierezza impongono nello spazio la propria presenza. Un ‘dizionario’ di animali fantastici, ciascuno con l’anima che il gesto dell’arte impronta nella materia.
«Una mostra – afferma il sindaco Gianfranco Valiante – che sollecita, forse per la prima volta, il FRaC Baronissi a confrontarsi, in un modo più completo, con uno dei maestri della nuova ceramica vietrese.
Nelle opere di D’Acunto accanto alla tradizione ceramica e figulina, si fa largo la personalità di uno scultore che riesce a dialogare con più materie. È importante che una istituzione museale, qual è il FRaC, monitori il territorio culturale e ne promuova le sue peculiari capacità di essere in costante dialogo con il proprio tempo, con la contemporaneità».
A proposito dei pinocchi che volteggiano nel soffitto di vetro della Galleria dei Frati, Ada Patrizia Fiorillo scrive: «Nei Pinocchi D’Acunto sembra però insistere nella sfida della resa; una sfida che gli impone il confronto con la materia, argilla lavorata per sottilissimi colombini destinati all’articolazione, simulatamente snodabile, di braccia e gambe che danno ritmo al corpo, un essenziale cilindro sul quale poggiano il naso ed il cappello.
Sono questi ultimi i veri elementi connotativi di queste silhouettes: il naso lungo, appuntito è la metafora della bugia che per prendere sostanza deve uscire dall’ombra, rendersi concreta, evidente e diversificata come per quei cappelli diversamente colorati e foggiati».
«D’Acunto – rileva Massimo Bignardi direttore del FRaC– si è confrontato con un tema così noto e ampiamente tradotto dalle forme dell’arte, eppure il suo lavoro ne propone con estrema lucidità un ulteriore, autonomo angolo di lettura.
L’artista prova a vestire l’abito luminoso del torero, non si cela nell’arbitrarietà di un linguaggio plastico, anzi lo usa per dare impulso al suo essere nell’unità dell’arena, nello spettacolo di una corrida ove, sa bene, a trionfare sarà il misterioso inganno che l’arte mette su a danno del reale.
D’altra parte il giovane ceramista vietrese già da tempo ci ha abituati a simili prove: si pensi, ad esempio, alle figure che abitano il suo repertorio di zoologia fantastica, al ciclo degli oggetti onirici, ove è ancora la vivacità di archetipi mediterranei ad offrire l’impronta».
Per l’ occasione è stato pubblicato da Gutenberg Edizioni un piccolo catalogo con un’introduzione della curatrice e testi di Massimo Bignardi e Ada Patrizia Fiorillo, nonché un repertorio delle principali opere in mostra.
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