Giovani come Umberto D’Avino, presidente Associazione Studentingegneria, che ha spiegato come l’università si stia dando da fare con tanti progetti che non coinvolgono solamente l’aspetto sportivo, ma soprattutto si offrono come strumenti per l’aggregazione sociale.
Il tema di quest’anno è “giorno dopo giorno silenziosamente costruire”. Ciò che sta effettivamente facendo l’ateneo salernitano, con il lavoro svolto da Francesco Colace, delegato del rettore per il placement e Domenico Apicella, delegato del rettore alle attività sportive. Il primo ha spiegato come sia “importante trovare la felicità nel proprio lavoro e come sia importante il ruolo dello sport”, presentando difatti gli ospiti con le loro particolari storie; il secondo ha dichiarato che “l’università di Salerno sta investendo moltissimo sullo sport, soprattutto per i ragazzi diversamente abili per far sì che non si percepisca alcuna differenza. Da Salerno deve partire una costruzione importante attraverso lo sport”.
A fare gli onori di casa, il presidente di OverTime, Nicola Provenza: “Overtime è un progetto nato quattro anni fa in cui cerchiamo di trasmettere valori positivi, con un cortometraggio , perché noi spesso dimentichiamo che lo sport abbia una funzione pedagogica. Il nostro è quello di far scattare questa scintilla agli istruttori e ai genitori”
Il testimonial dell’associazione, da sempre, è Gianluca Di Marzio che ha presentato di seguito le storie degli ospiti presenti in questa edizione. Il noto giornalista di Sky ha parlato con piacere di Overtime, ma anche di Salernitana: “Torno sempre molto volentieri qui a Salerno. Dobbiamo essere orgogliosi di questa università. Del Sud si parla sempre male, questo campus è all’avanguardia, sembra quasi americano, con tanti bei campi da gioco su cui allenarsi. Il paradosso è che la Salernitana non ne ha.
Spero che la società possa parlare con le istituzioni dell’Università perché credo che sia una situazione più facile e comoda per tutti. Sul ruolo dell’informazione in era moderna? Sulla rivoluzione social, tutti possono essere giornalisti. Serve affidabilità, mantenendo la calma. A volte c’è anche un linguaggio che non sempre spesso è rispettoso nei confronti di chi verifica una notizia in maniera attendibile. Sulla chiamata più importante? Io vivo con il cellulare (ride). La chiamata più importante l’ho avuta da Massimo Corcione che mi voleva a Sky dopo dieci anni in cui ho lavorato per un’emittente padovana”.
Uno dei protagonisti di questa edizione è Alberto Corradi, vice-allenatore del Genoa, ma anche professore di italiano e storia: “Il calcio regala emozioni incredibili. Pensate che a quest’ora ieri (domenica) ero calmo e sereno per il risultato che stava ottenendo la mia squadra. È stato un anno profondo quello appena trascorso, che ho vissuto nella mia città. Ho seguito Ivan prima a Mantova, poi a Crotone lo scorso anno. Mi sono profondamente innamorato del Sud. La gestione di una classe o di uno spogliatoio hanno dinamiche simili. Il calcio dà meno responsabilità.
Hai a che fare con ragazzi formati. Saper parlare di altro oltre il calcio può essere importante. Lo spogliatoio di calcio è formato da una pluralità di soggetti che hanno diecimila, centomila interessi diversi. Voglio stigmatizzare e sfatare il mito dei calciatori che amano solo giocare alla Play, al Genoa ho trovato tanti ragazzi che hanno interessi importanti, dal capitan Burdisso con cui si può parlare di politica e musica, ad Armando Izzo è stato anche deriso perché non riusciva a parlare in Inglese.
Lui rilasciò un messaggio importante in un’intervista fattagli poco dopo in cui ammette i propri limiti e che sta facendo tutto questo per i suoi figli, per far sì che possano avere tutto ciò che non ha avuto lui. Su Juric? Personalmente ho vissuto l’uomo Juric, non nasconde minimamente il suo essere. Viene spesso cacciato perché si muove con il braccio in maniera scomposta. Sulla situazione di classifica incerta fino a qualche ora? Ci vorrebbe un trattato di psicologia per capire come mai abbiamo alterato prestazioni interessanti ad altre in cui abbiamo staccato la spina. C’è stato un momento di appannaggio, dove all’interno ci sono state cose con colpe prime nostre, ma anche della società.
Un insieme di colpe ha fatto sì che la squadra perdesse lucidità. C’è stato un passaggio dell’esonero che ci ha dato l’opportunità di riprendere il percorso con vigore. A Crotone abbiamo visto solo la luce, senza mai un’ombra. Un percorso splendido, vissuto a mille all’ora, ma che non ci ha fatto crescere. Molte partite le abbiamo portate in porto, pur non giocando bene. Qui a Genova siamo ripartiti con forza. La chiamata più importante è stata quella di Juric che mentre ero in un collegio docenti mi ha chiamato per farmi fare il vice a Mantova. Io fino a quel momento avevo allenato nelle serie minori ed ero al settimo cielo”.
Anche Federica Balestrieri ha una storia da raccontare. Quella della ricerca della felicità: “La mia vita è stata sempre nello sport. Ho seguito le corse a Brescia, la mia città. Ho seguito il Milan e lì ho trovato mio marito che fa il procuratore. Mi sono occupata spesso di sociale al TG1, ci sono tantissime storie che parlano di sport e sociale. Ho iniziato ad occuparmi di senza fissa dimora qualche anno fa. Riflettevo sul mio futuro lavorativo. Avevo raggiunto il mio target, ero in una confort-zone che non mi dava più felicità. Ho lasciato a fine 2016 il mio posto da inviato RAI. Sono passata non più all’immagine in movimento, ma ad un’immagine statica dedicandomi alla Onlus RISCATTI che si occupa di raccontare storie di persone meno fortunate di noi.
Abbiamo organizzato dei corsi, prima con i senza fissa dimora, poi con ragazzi/e dai 14 ai 27 anni malati/e di cancro. Esponiamo queste fotografie, in cui sono loro stessi i protagonisti. Alla ricerca della felicità è stato un percorso formativo che mi ha dato tanto. Ci chiedevamo come fosse possibile ad esserci felicità nel dolore, nella sofferenza. Erano stessi i bambini ad avere uno spirito diverso e a partecipare a varie attività parallele, in cui tra l’altro vi erano alcune legate allo sport. Penso che quest’ultimo insegni molto, soprattutto ad uscire dalla solitudine, è importante fare squadra.
Lo sport veicola dei valori e racconta storie importanti. Sul mondo delle corse? Penso che il mondo delle corse si sia deteriorato, c’era uno spirito diverso tra le varie persone che frequentavano il paddock. Ora penso sia molto simile a quello del calcio. Molto spesso prevalgono i valori negativi. Talvolta vengono messi in ombra valori giusti. Sull’essere giornalisti ora? Il modo di fare informazione è praticamente diverso, quando ho iniziato c’era ancora la videocamera a cassetta. Una redazione doveva far uscire un cameraman, una troupe… oggi giorno, invece, le notizie sono alla velocità della luce, capillari.
Ora è più facile sotto tanti punti di vista, difficile sotto altri. La percezione dello sport penso che sia la stessa, soprattutto per i praticanti. Quello che è cambiato è l’ossessione al successo. L’attenzione alla sconfitta è venuta meno. Il successo è avere tanti soldi, essere riconosciuti per strada. Io penso, invece, che successo sia raggiungere i propri obiettivi. Non bisogna farsi sviare da questi miti. La chiamata più importante della mia vita? Quando mi chiamò Autosprint per la prima collaborazione. E anche se non è una “chiamata” ricordo nitidamente il giorno in cui firmai il primo contratto con la Rai, a tempo determinato”.
Sergio Pirozzi, allenatore di uomini, sindaco della città di Amatrice distrutta dal sisma dello scorso agosto: “Lo sport aiuta, ma mi sono sempre comportato nella mia vita da tecnico. Io parto dalla Seconda Categoria fino ad arrivare come secondo in B. Il fatto di essere nato in un piccolo borgo non mi ha agevolato, spesso mi si vede come il burino della situazione, semplicemente perché il borgo non ha storia rispetto ad una città. Dopo una sconfitta penso che ci sia sempre una vittoria e quando perdi ti devi mettere in discussione, anche quando subisci sconfitte ingiuste come è capitato a me e alla mia cittadina. In quel momento la mia squadra aveva il cinema-teatro, aveva il centro-giovani, il centro per anziani, tante strutture importanti ed era diventato il borgo più bello d’Italia. Una sconfitta di 120 secondi ha buttato via tutto.
Seppur sia stata ingiusta, riparto dando speranza ogni giorno, con esempio, con credibilità, combattendo per la mia città, per gli amici che non c’erano più e perché faccio le due cose che ho amato di più: fare il sindaco e il tecnico. Ho cercato di trasmettere quello che davo ai miei giocatori, l’ho trasferito alla mia comunità. Il momento più difficile per un allenatore è quando lotti per non retrocedere. Nelle difficoltà i calciatori non colgono il collettivo, ma se ne escono in maniera individuale. Traslato per il terremoto è che temevo che ogni cittadino potesse ragionare solo per sé stesso. E’ questa oggi è la mia grande sfida. La ricostruzione materiale ha i suoi tempi. L’importante è che il senso di gruppo prevalga su quello individuale, con un mondo che ci trasmette valori negativi continuamente.
Ho sempre combattuto. Prima andavo avanti per rabbia. Ebbi una telefonata il 18 novembre 2008 dal presidente dell’Ascoli, in cui mi disse che sarei stato il nuovo allenatore. Il ds dell’Ascoli, Stefano Antonelli, il giorno dopo mi ha detto poi che ha fatto cambiare idea al presidente. Mi è caduto il mondo addosso. Ho vissuto questi anni come chi aveva subito un torto. Dopo una sconfitta si lavora per vincere e quella è stata la spinta motivazionale per far sì che potessi candidarmi come sindaco della mia città i sei mesi seguenti. Gli ultras hanno fatto tanto.
Ci saranno due campi da gioco, faranno una donazione all’associazione di Raoul Bova per il cinema-teatro. Io mi sento vicino a questo mondo. Rappresentano il valore della maglia. In un mondo in cui le maglie sono business. Tra loro c’è solidarietà. Se un membro è in difficoltà, l’altro lo aiuta con le proprie disponibilità. Sono partiti gli ultras dell’Ascoli a salvare vite durante i terremoti. Queste sono le storie che amo. Io preferisco di più quello che hanno fatto, che quello delle grandi società in cui lavorano per il business. Sul ruolo di guida? Chi ha un ruolo deve dare una linea che non è un evento.
La linea la dà la guida. Chiaro che dev’essere credibile, deve dare speranza, far capire che si rinasce tutti insieme. Noi avevamo avuto la distruzione, in un momento di emergenza, con liceo scientifico che viveva con iscrizioni fittizie, abbiamo deciso con coraggio di creare un nuovo indirizzo a questo liceo: scientifico sportivo internazionale. Fatto il decreto del ministro, abbiamo raccolto 30 iscritti, di cui ben 16 da fuori regione. Un allenatore abbandona la squadra solo quando hai vinto, al massimo del successo”.
Dopo il lodevole intermezzo di Sergio Mari, in questa edizione di Overtime sono stati premiati Roberto Venturato, allenatore del Cittadella autore di una vera e propria impresa con la squadra avente il più basso monte ingaggi della Serie B. Antonietta Di Martino, campionessa del salto in Alto, ha premiato Federica Balestrieri. Il presidente Nicola Provenza ha consegnato il premio ad Alberto Corradi. Gaetano Acito, campione italiano 2016 di pesistica paralimica, infine, ha premiato Gianluca di Marzio, amico e testimonial di Overtime con la sua associazione degli InsuperAbili
Il premio “Overtime” – Vincenzo Cosco, infine, è andato a Sergio Pirozzi, consegnato dalla moglie del defunto tecnico di Santa Croce di Magliano, Silvana.
Una menzione Speciale “Overtime” è andata a “Stammece Accort” che allo storico torneo calcistico di beach soccer di Santa Teresa, giocherà con rappresentativa afro-salernitana. Il premio è stato consegnato da Sene Ousmane Pape, ex giocatore della Salernitana.
La giornata si è conclusa con la serata al “Terzo Tempo – Village” nel quale gli ospiti di Overtime hanno interagito tramite la diretta sulla pagina facebook con le persone presenti.