All’imputato, evidenzia Giovanni D’Agata presidente dello “Sportello dei Diritti”, era contestato di aver reso impossibile la vita dell’ex convivente con ripetute minacce, messaggi, ingiurie all’indirizzo tanto da cagionarle uno stato di ansia perenne che l’avrebbe spinta a cambiare abitudini di vita e utenze telefoniche. La Cassazione non fa sconti e conferma la pronuncia di seconda istanza. Nel ricorso proposto, l’uomo separato lamenta, per bocca dei suoi avvocati,vizio motivazionale. Secondo il tribunale che assolveva l’uomo, non era stato dimostrato il nesso causale tra le condotte persecutorie e il grave stato di ansia e paura generato nella donna; di diverso avviso è il giudice di appello che ha evidenziato le lacune della prima decisione. Il tribunale, pur avendo accertato che le intrusioni nella vita privata della donna avevano contribuito a modificare le proprie abitudini, al punto di essere costretta a cambiare casa, trascura tali importanti elementi e lo fa anche in relazione allo stato di ansia, «integrato dal grave disturbo post-traumatico da stress diagnosticato dalla psicoterapeuta della vittima». Sulla prova del nesso causale, poi, per quanto il primo giudice si attenga ai costanti principi della Cassazione in materia, il richiamo si rivela «avulso dagli elementi probatori, che, viceversa, fondavano sia una valutazione di astratta idoneità ad ingenerare paura (per le minacce profferite, e per i controlli a distanza operati anche mediante abusivi accessi informatici) sia una valutazione di concreta incidenza sul mutamento delle abitudini di vita, essendo stato accertato che la vittima, proprio in conseguenza degli accessi abusivi, era stata costretta a cambiare utenze telefoniche, indirizzi mail, e profilo Facebook, oltre all’abitazione». La Corte di secondo grado, invece, non ha trascurato tali aspetti, arrivando alla conclusione che lo stato di «perdurante ansia e paura e l’alterazione delle abitudini di vita invece sono stati determinati proprio dalle condotte persecutorie dell’imputato, consistite in minacce, molestie continue e ossessive, intrusioni nell’account di posta elettronica e nel profilo Facebook».