La ministra della Funzione Pubblica, Marianna Madia, annuncia: “Entro giugno si apre il tavolo sui contratti”.
Sono impiegati in ministeri e scuole, nelle camere di commercio, negli uffici comunali. La metà di essi sono donne.
Donne che troviamo soprattutto negli ospedali, tuttavia non ricoprono posizioni di vertice e spesso non godono di un contratto fisso. L’Istat in un censimento ufficiale traccia l’identikit del dipendente statale italiano.
Un vero e proprio esercito della pubblica amministrazione in cui i soldati semplici, cioè i precari, sono poco meno di mezzo milione. Ciò significa che all’incirca il 13% dei pubblici dipendenti svolge i medesimi compiti dei colleghi, ma vive la incertezza che il proprio contratto possa rinnovarsi.
Il personale a tempo determinato in quattro anni è cresciuto del 5% a fronte di un calo dei dipendenti fissi. La pubblica amministrazione ne ha persi 45000; oltre un terzo degli statali in servizio è concentrato al Sud. E’ al Nord, però, e più precisamente in Val d’Aosta e in Trentino Alto Adige, che si registrano punte di 7 dipendenti pubblici ogni 100 abitanti.
L’Istat nel censimento – d’ora in poi permanente – ha inserito anche le forze armate: sono 490 mila le donne e gli uomini impegnati.
Troppo spesso denigrati – anche a causa di episodi di malaffare, registrati in diversi enti del Belpaese – i dipendenti pubblici rappresentano la spina dorsale della macchina statale. Sono coloro ai quali ci si interfaccia per la formazione di un figlio, per il rinnovo di un documento, per la istruttoria di una impresa, per curarsi. Sono quelli che garantiscono la sicurezza del cittadino e della intera Nazione.
Al di là degli scandali e dei correttivi, che si avvertono come necessari ancorché opportuni, per rendere più efficiente il lavoro pubblico, sarebbe utile se tutti potessero distinguere e riconoscere il valore di un tale fondamentale servizio.
editoriale a cura di Tony Ardito, giornalista