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La cittadinanza onoraria a Maradona e la nostalgia del passato in mancanza del presente (di C. Risi)

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Pino Daniele  svecchiò la tradizione melodica napoletana con l’innesto dell’inglese e fu successo. Il napoletano ne è uscito rinvigorito. Il suo esperimento non basta evidentemente, Napoli ricade nella nostalgia del passato mancando di un presente all’altezza.

Per la seconda volta in pochi mesi, il debutto fu al San Carlo,  Diego Armando Maradona giunge a Napoli accolto da Alessandro Siani, che evidentemente ambisce al ruolo di artista civico. Stavolta è per ricevere la cittadinanza onoraria nella cornice di Piazza Plebiscito. I benpensanti sostengono trattarsi di un errore: la vita di Maradona non è certo esemplare.

Tutti gli altri, e sono la maggioranza, perdonano a Maradona qualsiasi misfatto per il semplice motivo che egli è al di sopra delle comuni considerazioni morali. Egli è un dogma di fede. Condividiamo l’opinione, che pure ha punti di debolezza, per motivi sportivi e soprattutto diplomatici.

Anni ottanta del XX secolo. Bruxelles non è ancora la capitale riconosciuta d’Europa. L’indirizzo della Commissione europea in Rue de la Loi 200 è ancora indicato come provvisorio sulla carta intestata.

La Comunità ha dodici stati membri, l’Est europeo sta sotto l’influenza sovietica, il personale che si muove nel quartiere europeo è poco  numeroso e alquanto omogeneo. La città ha le tradizioni della provincia belga. In periferia si parla fiammingo, al centro francese, l’inglese è lento a diffondersi. Le cucine dei ristoranti chiudono alle 21, la domenica sta tutto chiuso tranne il mercatino della chincaglieria alla Place du Grand Sablon.

La RAI trasmette a singhiozzo. Gli italiani impegnati organizzano sedute collettive per visionare Quelli della notte di Renzo Arbore e sentirsi intelligenti nel divertimento.  Di mozzarella e panettone si favoleggia: li vende qualche negozio etnico (e cioè di italiani immigrati) in periferia.

In un mondo sostanzialmente piccolo sebbene aperto ai traffici del mondo, dove tutti  trascorrono le ore all’aeroporto di Zaventem per viaggiare o ricevere visitatori, scoppia il caso Maradona. Prima in sordina e poi deflagrante. Quando Corrado Ferlaino, il presidente del Napoli, ne annuncia l’acquisto dal Barcellona per 14 miliardi di lire, i benpensanti di allora (probabilmente gli stessi oggi contrari alla cittadinanza onoraria) obiettano che con quei soldi si sarebbe potuto costruire una scuola o un ospedale, altro che comprare uno che prende il pallone a calci. Essi ignorano che il presidente di una squadra di calcio non ha responsabilità umanitarie verso la cittadinanza ma obbligo di spettacolo verso il pubblico dello stadio.

Maradona si presenta sul prato del San Paolo e delizia gli spettatori con il gesto della foca. Basta quello a mandare il pubblico in visibilio. Noi a Bruxelles, scettici come solo possono essere i cosmopoliti, aspettiamo per vedere. Dipende dalla squadra che avrà attorno. Maradona compie miracoli, gli manca solo quello di camminare sull’acqua.

A misura delle sue prodezze cresce l’attenzione verso i “napoletani” (all’estero lo sono tutti quelli che vengono dalla Campania). Non solo cozze e vibrione e scippi e via degradando, ma anche sublimità del gesto sportivo. Qualcuno azzarda la blasfemia: Maradona è meglio di Pelé.

Arriva il fatidico giorno di assegnazione dello scudetto. In ambito campano regna il silenzio della superstizione. Lo scudetto è parola tabù, si adoperano perifrasi. Chi ne parla apertamente è accusato di portare scalogna ed escluso dal consesso. Un amico prefetto, napoletano della Sanità e uomo delle istituzioni, s’incarica del rito propiziatorio. Fa girare la voce che a una certa ora a casa sua accadrà qualcosa.  Andiamo alla spicciolata come carbonari alla riunione clandestina.

Non si parla, neppure ci guardiamo in faccia per non tradire la minima emozione. Fingiamo tutti distacco. La tensione si spezza all’annuncio che è fatta, lo scudetto è nostro. Il titolo consacra la santità di Diego Armando Maradona: dal 1987 si erge sull’altare di Napoli. Il giorno dopo i “napoletani” di Bruxelles furono guardati in un altro modo.

Cosimo Risi

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