Il famigerato «sistema Dublino», cui da più parti si è fatto riferimento in modo improprio, è stato creato con l’omonima Convenzione del 15 giugno 1990, trasfusa nel regolamento n. 343/2003 («Dublino II»), a sua volta sostituito dal regolamento n. 604/2013 («Dublino III»). Tale sistema definisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo. La regola aurea che caratterizza, purtroppo in negativo, questo complesso normativo prevede che il Paese di primo ingresso sia il solo competente a trattare la domanda di asilo.
Si tratta di una previsione molto semplice, intesa a garantire un accesso rapido alle procedure di riconoscimento dello status di rifugiato, che appare però anacronistica alla luce delle attuali contingenze migratorie che coinvolgono in particolar modo alcuni Stati membri, tra cui l’Italia, poiché fa ricadere su questi ultimi l’onere di sostenere l’accoglienza dei migranti che richiedono protezione internazionale nelle more della definizione della relativa procedura, e anche nei primi anni di riconoscimento dell’eventuale status di rifugiato.
Ora, è del tutto evidente, e va chiarito con nettezza, che si tratta di un sistema di ripartizione di responsabilità introdotto in Europa ben prima dei Governi Renzi e Gentiloni, i quali lo hanno subito e vi hanno dovuto far fronte in una fase drammatica di esplosione del fenomeno migratorio. Al riguardo, anzi, la storia dimostra che grazie all’iniziativa politica del Governo Renzi le istituzioni europee hanno intrapreso delle azioni volte a rimediare alle distorsioni del sistema di Dublino, adottando delle “misure provvisorie” che prevedevano finalmente una «redistribuzione» dei richiedenti asilo, in deroga proprio alle sue regole.
È in tale contesto che sono stati adottati a distanza di pochi giorni due atti significativi: la decisione n. 1523/2015, del 14 settembre 2015, che imponeva la relocation di 40.000 richiedenti asilo da Grecia (16.000) e Italia (24.000); e la decisione n. 1601/2015, del 22 settembre 2015, che stabiliva la ricollocazione nei successivi due anni di altre 120.000 persone, di cui inizialmente 15.600 dall’Italia e 50.400 dalla Grecia.
Certo, tale relocation è in forte ritardo rispetto alla tabella di marcia prevista, e sicuramente non riuscirà a completarsi per fine settembre 2017 nonostante il carattere vincolante degli impegni per i Partner europei. Tuttavia, questa è una conseguenza delle gravi inadempienze di tanti Stati (Bulgaria, Repubblica ceca, Estonia, Ungheria, Irlanda, Polonia, Slovacchia e Austria non hanno ancora ricollocato nessun migrante dall’Italia) e dell’inadeguata capacità “persuasiva” della Commissione. Non credo possa davvero imputarsi nulla sotto questo profilo al Governo PD, il quale ha avuto invece il merito di far adottare per la prima volta un simile strumento derogatorio al meccanismo di Dublino.
Allo stesso modo, del resto, è sempre grazie alla moral suasion politica in particolare del Governo Renzi che la Commissione ha adottato il 4 maggio 2016 una proposta di modifica del regolamento Dublino III, volta ad introdurre un correttivo strutturale al criterio della competenza dello Stato di primo ingresso, per garantire una gestione più equa in caso di afflusso sproporzionato di richiedenti asilo, fondato su una «redistribuzione automatica» delle domande di protezione internazionale fra gli Stati membri.
Si tratta evidentemente solo di una proposta, ma è il primo atto formale necessario per attivare una procedura legislativa in materia, che quindi è stata correttamente avviata.
Lo stesso vale per l’ormai famigerato Programma Triton. Al riguardo, credo sia necessario ricordare l’evoluzione storica dello stesso. Com’è noto, dopo la strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013, il Governo Letta ha deciso di attivare un’operazione navale italiana, Mare Nostrum, per il salvataggio dei migranti e il contrasto al traffico illegale degli stessi. Questa operazione comportava però forti oneri organizzativi e finanziari sul nostro Paese, in ragione del costo della stessa di oltre 9,5 milioni di Euro al mese, e non poteva essere sostenuta ancora a lungo dall’Italia.
In tale contesto, allora, il Governo Renzi ha raggiunto ancora una volta un risultato estremamente positivo, quando è riuscito a negoziare la sostituzione, a partire dal 1° novembre 2014, di un’operazione fino ad allora solo nazionale con un programma europeo, Triton, che prevedeva il coinvolgimento diretto dei nostri Partner, con l’agenzia Frontex, nelle operazioni di pattugliamento e controllo della frontiera. Certo, l’operazione Triton è andata incontro sin dall’inizio a forti resistenze da parte degli altri Stati, risultando insufficiente in termini di mezzi impiegati e risorse stanziate, che ammontavano in una prima fase a soli 3 milioni di Euro al mese, e che, ancora oggi appaiono inadeguate se consideriamo che portano all’utilizzo di sole 12 navi, 3 aerei e 4 elicotteri.
Certo, la stessa operazione si colloca nella scia di Mare Nostrum, e prevede lo sbarco dei migranti nei nostri porti. Ma non può non riconoscersi che Tritonha rappresentato nel 2014 un primo passo importante – che in quel momento non poteva essere configurato diversamente da un punto di vista tecnico – per iniziare a sollecitare una gestione europea comune delle operazioni navali di salvataggio e lotta alle reti di criminali.
È grazie a quel primo passo che oggi possiamo provare ad avanzare nel percorso, negoziando un codice di condotta per le ONG che operano nel Mediterraneo, così come una ripartizione equilibrata degli stessi sbarchi in altri porti europei, a tutela della tenuta del sistema di accoglienza del nostro Paese, ma a garanzia anche di più dignitose condizioni di permanenza dei migranti. L’integrazione europea si è da sempre costruita in modo graduale e progressivo in tutti i settori. È miope e strumentale non ricordarlo.
Ovviamente, come dimostrano i dati degli sbarchi e i numeri dei nostri centri di accoglienza, nonostante queste azioni comunitarie e l’impegno rivolto alla soluzione di alcune deficienze strutturali interne al nostro sistema di accoglienza (penso alle misure della L. 13 aprile 2017, n. 46), il nostro Paese rischia il collasso se non si interviene in modo ancor più deciso a livello continentale.
Al riguardo, le proposte politiche che ascoltiamo in questi giorni sono numerose e variegate. Al di là dell’ovvia ed urgente necessità di investire in Piani concreti di sviluppo politico ed economico dei Paesi di provenienza sia dei rifugiati che dei migranti economici, e oltre all’esigenza ormai condivisa di rivedere alcune regole operative di Triton o di sostituire lo stesso con un diverso programma Frontex, bisogna lavorare a mio avviso anche su altri fronti, quali ad es.:
i) la proroga dell’obbligo di rilocation dei richiedenti asilo concordato nel 2015 per completare il trasferimento delle quote stabilite, ipotizzando anche, se necessario, il ricorso del nostro Governo alla Procedura di infrazione, ex art. 259 TFUE, nei confronti degli altri Stati membri inadempienti;
ii) l’apertura di canali legali per la protezione internazionale nei Paesi di origine o di transito, presso sedi dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati o presso dei veri e propri punti consolari europei, consentendo – mediante un più forte controllo internazionale delle coste e più efficaci azioni di contrasto ai trafficanti – di giungere in Europa, attraverso una redistribuzione automatica preliminare, solo a coloro i quali hanno già ottenuto lo status di rifugiato, eliminando così il trattamento in loco di domande strumentali di protezione internazionale da parte di migranti economici che purtroppo non possono trovare accoglienza; o
iii) il sostegno alla proposta avanzata dalla Commissione, il 4 maggio 2016, per trasformare l’EASO in Agenzia europea per l’asilo, al fine di rafforzarne il mandato e ampliarne le funzioni di assistenza agli Stati membri in sovraccarico di richieste.
Insomma, tanto vi è ancora da fare, ma tutto si può dire tranne che i Governi Renzi, prima, e Gentiloni, poi, non stiano provando a porre rimedio in modo concreto ad una crisi sistemica che non ha precedenti nella storia recente del nostro Paese. Sarebbe utile forse, mai come in questo momento, che tutte le forze politiche mettessero da parte polemiche sterili e facessero prova di un maggior senso di responsabilità condiviso per sostenere questo sforzo.
Piero De Luca su l’Unità