Il governo del Kenya ha adottato una soluzione estrema per un problema estremo; tre mesi fa aveva annunciato la nuova legge contro la plastica ed è stato di parola. La soluzione consiste in multe salatissime, fino a 32mila euro e la detenzione fino a 4 anni per chi fabbrica o importa nel paese sacchetti di polietilene. Il problema è costituito da 100 milioni di buste prodotte e disperse nell’ambiente ogni anno dai supermercati keniani.
La misura si applica ai sacchetti e a tutta la plastica non biodegradabile da imballaggio e fa eco a quelle già in vigore in mezzo continente africano. Ma qui come altrove è la legge più dura mai applicata; esemplare per gli ambientalisti che rilanciano l’allarme su un problema mondiale. Da quando la plastica è entrata nella produzione di massa, negli anni 50, ne sono stati prodotti 9 miliardi di tonnellate; 7 sono finiti in discarica o nell’ambiente.
Due sono i simboli di questo disastro mondiale: due isole. La prima, è Henderson Island, si trova nel Sud del Pacifico; divenne patrimonio dell’Unesco per quanto era bella ed integra, un paradiso tempo incontaminato, che oggi vede il 99,8% della sua superficie coperta di plastica.
E poi c’è l’isola di plastica, non quella scoperta del 1997 nei mari del Nord già vista e fotografata, ma quella individuata questa estate al Sud Pacifico. Un agglomerato di microparticelle di rifiuti di plastica che viene scambiata per cibo e ingerita da pesci ed uccelli. Più grande del Messico, è almeno 8 volte l’Italia, pari a tutto il Mar Mediterraneo.
Sono le Nazioni Unite a lanciare un grido di allarme: “Se lo sversamento della plastica nelle acque procederà con i ritmi di oggi, nel 2050 nel mare ci sarà più plastica che pesci”.
Il Kenya ha dunque impartito al mondo una vera e propria lezione di civiltà; emularlo non sarebbe per nulla sbagliato.
editoriale a cura di Tony Ardito, giornalista