E di orgoglio per l’intero territorio, ove sono nati i genitori di Mario Cuomo (Nocera Inferiore, il padre, e Tramonti, la madre).
Perché la sig.ra Matilda, in forza di una sensibilità tutta italiana nei confronti dei bambini e delle famiglie bisognose, ha legato il suo nome ad un metodo educativo che, oltre 30 anni fa, affrontò per la prima volta i problemi dei tanti giovani disadattati di New York e, qualche anno dopo, proprio nella nostra Città, diede vita al progetto Mentoring Usa-Italia con l’attiva collaborazione di un nipote nostro concittadino, Sergio Cuomo.
In estrema sintesi, Mentoring è una azione complessa, relazionale e di supporto, con la quale si intende recuperare alla vita sociale ed economica i tanti giovani affetti da situazioni problematiche, di origine materiale e/o psicologica, e contrastare il fenomeno dell’abbandono scolastico che della sofferenza e del malessere è, purtroppo, la finale espressione.
Oltre che causa di illegalità e devianza.
Per questo, in coincidenza con l’avvio dell’anno scolastico, riteniamo opportuno intrattenerci – sia pure da profani – sul disagio del mondo giovanile intendendo con questo contribuire a una più ampia conoscenza, soprattutto tra le famiglie, delle sue origini e dei possibili rimedi.
Generalmente, i sintomi del malessere si manifestano negli anni della scuola secondaria di primo grado e trovano la causa principale nelle difficoltà psicologiche generate dal passaggio dal “mondo protetto” della scuola primaria, ove predomina ancora la presenza della famiglia, ad un “ambiente partecipativo” nel quale sono richieste autonomia decisionale, capacità di confronto e crescente dimostrazione di autogoverno nei comportamenti quotidiani.
E’ in questa fase, quindi, che ciascuno prende coscienza delle diversità culturali e sociali ed è in questa fase che tutti sono chiamati a sviluppare, per la prima volta in assenza di qualsiasi sostegno esterno, reazioni personali frutto delle specifiche capacità di adattamento psicologico.
Una risposta inadeguata e una “sconfitta” relazionale possono così generare, in soggetti deboli, negativi processi interiori di mortificazione, alimentare frustrazioni, indurre a selezioni e differenziazioni, causare esclusioni, ferire l’autostima, quali premesse del progressivo rallentamento dei ritmi di studio e dei primi fallimenti nelle votazioni.
E, tutto questo, in un momento particolarmente delicato anche dal punto di vista dello sviluppo fisico.
Laddove non puntualmente affrontate o. ancor più, se “dormienti”, tali problematiche trovano generalmente manifestazione nel corso del ciclo di secondo grado con lo sviluppo di spirali comportamentali perverse – a volte inattese e improvvise – che spesso si chiudono con il rifiuto dell’obbligo scolastico e il definitivo abbandono (drop out).
Un esito che, nelle ipotesi estreme, può spingere i più fragili a ricercare una propria identità in nuove aggregazioni devianti, di “sfida” o di “rivincita”, soprattutto quando le crisi di rendimento sono sofferte da giovani appartenenti a nuclei familiari gravati da impegni economici.
Un ulteriore elemento di criticità si presenta, infine, nell’età adulta, dopo il completamento degli studi, in conseguenza della verifica della inadeguatezza del livello di preparazione rispetto alle richieste del mondo del lavoro.
Dell’argomento non discutiamo in questa sede, essendo legato ai problemi più ampi del sistema produttivo. Ne parleremo.
Ciò posto, la intuizione della sig.ra Matilda è stata quella di affrontare le difficoltà di ciascun giovane applicando il principio dell’“uno a uno” e, cioè, assegnando ad ognuno un referente (mentoree) con il compito di individuare la causa specifica e “segreta” del disagio sofferto e costruire una metodologia di recupero “personalizzata” incentrata su interventi in grado di incidere sui punti di debolezza nel campo emotivo, in quello informativo e, ancora, delle necessità materiali.
Nel ciclo di primo grado, l’attenzione del valutatore è generalmente rivolta alla verifica della coerenza dell’indirizzo scolastico prescelto dal giovane con le sue capacità, idoneità, tendenze, talento.
In questa fase, si ascoltano le sue idee, si sottopongono a esame critico e se ne rappresentano le conseguenze per riscontrare la presenza di un pieno convincimento in ordine alla scelta effettuata e di una sufficiente consapevolezza dei propri mezzi, dei propri punti di forza e di debolezza, ai fini della prosecuzione dell’impegno scolastico.
L’attività (counseling) poggia su riunioni d’aula, in origine cumulative e partecipative, per selezionare i soggetti deboli e prosegue, poi, con incontri “face to face” con le famiglie per una comune valutazione dell’indirizzo più opportuno inerente al corso di studi superiore.
Nel ciclo di secondo grado, il problema affrontato è direttamente quello della dispersione (drop out).
L’attività mira al superamento delle difficoltà con l’instradamento di ciascun soggetto verso percorsi scolastici alternativi, più adatti alle esigenze specifiche ovvero idonei a far emergere un possibile talento artistico.
Essa inizia immediatamente dopo l’insorgere del disagio, quando le risposte scolastiche sono già pienamente evidenti, ma in tempo utile ad evitare sfavorevoli esiti dal punto di vista psicologico e del posizionamento sociale, e può anche prevedere, per soggetti ad alto rischio di devianza, la possibilità di sistemazione in case-studio o in istituti scolastici in regime convittuale.
Questa è la via indicata da Matilda Cuomo. Ma Mentoring non è una cura da usare al bisogno.
E’ un metodo educativo offerto al mondo scolastico per favorire, nella quotidianità del percorso formativo riservato ai giovani, una più adeguata risposta alle molteplici esigenze di tutela del loro equilibrio psicologico, di accrescimento culturale, di formazione di una coscienza spirituale, di efficace preparazione alla futura convivenza sociale.
Una attività che deve essere svolta da una Istituzione viva, attiva, attenta e disponibile, e che deve trovare sostegno in un adeguato livello di preparazione, capacità organizzativa, sensibilità, sacrificio e partecipazione emotiva del personale didattico.
Qualità ben presenti, comunque, nella stragrande maggioranza dei docenti e per le quali sono doverose manifestazioni di affetto e di gratitudine da parte di tutti.
E, magari, anche maggiori riconoscimenti e soddisfazioni economiche da parte di chi è delegato alla gestione della pubblica istruzione.
A prova di rispetto e di amore nei confronti di chi porta su di sé la responsabilità del futuro delle nuove generazioni e del Paese.
La Scuola ha bisogno di amore.
Associazione “Io Salerno” – Officina di Pensiero
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