Il progetto politico – L’obiettivo della European Free Alliance (Efa), un partito nato nel 1981 come casa comune di 45 minoranze sparse in 18 Paesi, è riconoscere le identità e le culture “soffocate” dopo la fondazione degli Stati nazionali. Una sorta di “ritorno al Medioevo” da contrapporre al modello del villaggio globale. E tutto questo senza rinunciare all’ombrello delle istituzioni comunitarie. “Siamo un partito proeuropeista e crediamo nei valori comunitari: libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani – dicono gli attivisti – vogliamo solo che le minoranze possano scegliere il loro futuro”. Allo stesso tempo, però, il programma ripropone i temi forti del nazionalismo: autodeterminazione dei popoli, rispetto delle diversità linguistiche e indipendenza.
La Baviera – Il Bayernpartei, il partito autonomista bavarese, è stato fondato nel 1946. Richiamandosi al glorioso passato della regione, rimasta un regno indipendente fino al 1919, il movimento si propone di emancipare la nazione dalla Repubblica federale. Un progetto motivato dalle peculiarità culturali, storiche e religiose della popolazione locale. Lo Stato libero di Baviera, attualmente uno dei sedici Land tedeschi, è la regione più grande della Federazione. In caso di secessione, la Germania perderebbe una delle sue aree più dinamiche (il Pil bavarese è al secondo posto a livello federale, dopo quello del Baden – Wüttemberg) e circa dodici milioni di cittadini.
I Paesi Baschi – Anche i baschi, riuniti nel movimento Eusko Alkartasuna, partecipano al progetto dell’Alleanza Libera Europea. La Spagna li riconosce come comunità autonoma, ma si è sempre rifiutata di concedere loro l’indipendenza. Una contesa che ha portato, a partire dalla metà del Novecento, a un lunghissimo scontro armato. Euskadi Ta Askatasuna (Eta), un’organizzazione terroristica responsabile di decine di attentati con morti e feriti, ha deposto le armi l’8 aprile 2017. Dopo quanto accaduto in Catalogna, però, gli autonomisti hanno ripreso vigore. Una svolta condivisa anche dal presidente della regione, Inigo Urkullu, che ha invocato un referendum per il divorzio da Madrid.
Il Sudtirolo – Il Süd Tiroler Freiheit rappresenta la popolazione di lingua tedesca residente nel Tirolo del sud, un territorio alpino strappato all’Austria dopo la Prima Guerra Mondiale. Nonostante le concessioni dell’Italia, che nel 1972 ha sancito l’autonomia amministrativa della provincia di Bolzano, alcuni gruppi estremisti hanno continuato la lotta armata. L’ultima iniziativa, questa volta pacifica, risale al 2013. I militanti del partito autonomista hanno indetto un referendum per l’indipendenza, raccogliendo il consenso del 92,7 % (56.395 individui) degli aventi diritto.
La Valle d’Aosta – Autonomie Liberté Participation Ecologie (Alpe) è un movimento politico valdostano. La Valle d’Aosta, abitata in gran parte da popolazioni waser e franco – provenzali, vanta una lunga tradizione autonomista. Una rivendicazione parzialmente accolta dall’Assemblea costituente italiana, che nel 1948 concesse alla regione uno statuto speciale. Nonostante le competenze del governo locale siano molto ampie, sono ancora molti i cittadini che auspicano un divorzio da Roma. Un’eventualità che costerebbe all’Italia la perdita di un’intero settore delle Alpi, nonché di uno dei territori più importanti per l’industria del turismo.
La Scozia – Lo Scottish National Party, fondato nel 1934, è lo storico partito indipendentista scozzese. Il regno di Scozia, una delle nazioni costitutive del Regno Unito, ha mantenuto la sua indipendenza fino al 1707. Abitata da una popolazione di lingua gaelica, ancora oggi dispone di leggi e apparati di governo distinti. La spinta degli autonomisti è cresciuta negli ultimi anni, fino costringere il governo di Londra a indire un referendum sulla secessione. La consultazione del 2014 è stata vinta a larga maggioranza dai cittadini unionisti. Ma l’addio della Gran Bretagna all’Unione Europea potrebbe cambiare di nuovo gli equilibri, rinfocolando il secolare patriottismo della regione.
La Corsica – Il Parititu di a Nazione Corsa rivendica l’autonomia della Corsica dal governo centrale francese. La regione, governata dai genovesi fino a metà Settecento, è stata annessa alla Francia nel 1768. Ancora oggi, accanto al francese, molti cittadini si esprimono in italiano o in corso. Lo Statuto regionale, promulgato nel 1982, garantisce ampi margini di manovra al governo locale. Il 1 gennaio 2018 le attuali circoscrizioni saranno sostituite da una “Collettività di Corsica” amministrata dal Parlamento e dall’esecutivo locali.
Un pulviscolo di piccole patrie – Accanto alle nazioni storiche, decine di minuscoli movimenti locali lottano fianco a fianco come membri dell’Alleanza: i bretoni in Francia, i veneti nel nord Italia, gli slesiani in Polonia e tanti altri ancora. Un vero e proprio puzzle di identità, culture e tradizioni che potrebbe frantumare l’Europa, fino a renderla irriconoscibile.
L’autonomia è un diritto? – Il concetto di “autodeterminazione” è stato definito dalla Corte internazionale di giustizia con vari pareri consultivi. Nei fatti, però, l’organo giudiziario delle Nazioni Unite non ha mai riconosciuto tale principio come un diritto assoluto dei popoli. Si tratta, piuttosto, dell’esigenza di rispettare l’identità culturale e linguistica delle popolazioni, da attuarsi compatibilmente con il mantenimento dell’integrità territoriale degli Stati.
Un punto di equilibrio – Interpellata in merito alla secessione del Québec, nel 1998 la Corte suprema canadese che ha ristretto a tre soli casi la sussistenza del diritto all’emancipazione. Questo spetterebbe solo ai popoli soggetti a dominio coloniale, a quelli il cui territorio è stato occupato da un Paese straniero e ai gruppi minoritari privati dell’accesso al potere di governo. Nessuna delle minoranze etniche europee potrebbe, quindi, emanciparsi dai rispettivi Stati. Un orientamento giurisprudenziale che ha alimentato, e ancora alimenta, le posizioni unioniste dei governi nazionali.
Fonte TGCom
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