La scelta di rendere note le storie è data dal fatto che: «Liberarsi da un virus trasmissibile e sconfiggere una malattia spesso mortale è la fine di un incubo e va celebrato nel migliore dei modi» – dicono all’associazione più rappresentativa dei malati di Epatite C.
Della sua testimonianza, per esempio, Tina Muscio, di Salerno, malata a seguito di una trasfusione infetta al momento del parto cesareo, afferma: «Ho pensato alle persone che non ce l’hanno fatta». Per lei, come per molti altri, di quel sangue non c’era bisogno ma all’epoca la pratica clinica prevedeva un utilizzo più “facile” del plasma, mentre i controlli non erano quelli attuali.
Il virus dell’epatite C è “silente”, può restare in incubazione anche 30 anni poiché “ospite” del Dna delle cellule e quando si manifesta colpisce in particolare il fegato, con aumento di possibilità di cirrosi e tumori che rischiano di diventare fatali. I pazienti colpiti – nella maggior parte dei casi a seguito di trasfusioni avvenute tra gli anni ’70 e ’90 – hanno la vita sconvolta.
«Siamo soddisfatti che il nostro progetto stia avendo una così elevata adesione da parte dei pazienti, non era affatto scontato. In particolare, alcuni pazienti hanno deciso di raccontarsi in video rinunciando alla loro privacy e questo è un chiaro segnale della immensa felicità e voglia di vivere ritrovata che infonde la guarigione definitiva» ha dichiarato Ivan Gardini, Presidente EpaC.
Il progetto – sostenuto fra l’altro da Abbvie – intende: «Offrire la possibilità di condividere pubblicamente le proprie emozioni dopo anni di sofferenze, fare capire a tutti la portata rivoluzionaria dei nuovi farmaci anti epatite C, stimolare e incoraggiare i tanti pazienti che devono ancora essere curati a farlo il prima possibile».
Fonte IlMessaggero.it
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