Inoltre, è vero che ci sarebbe anche il modo per l’Italia di uscirne dai “vincoli” necessari, ma l’uscita comporterebbe un rischio che tutti gli addetti ai lavori dichiarano insostenibile per il paese, e ciò a motivo essenzialmente dell’ingente debito pubblico accumulato. A maggiore riprova, basta l’esempio della Grecia; che, soprattutto nel proprio interesse, ha provveduto a rinegoziare il debito dopo aver alienato all’estero una fetta consistente del patrimonio pubblico. Fine della prima illusione.
Fallito il referendum costituzionale del 4 dicembre scorso – ispirato da un “centralismo” poco convinto, che potremmo anche definire eccentrico o di maniera -, all’esito dei referendum consultivi di domenica scorsa in Lombardia e Veneto, la via maggiormente auspicata ora nell’area di centrodestra (a eccezione di Fratelli d’Italia) – e a quanto pare condivisa dal Movimento 5 stelle -, sembra sia quella di riconoscere maggiore “autonomia” alle regioni.
E dunque, una via politica che prediliga ancora lo strumento della consultazione popolare, anziché una viceversa valida ed efficace azione di rappresentanza politica, che negli anni trascorsi è tristemente e progressivamente mancata, sia a livello centrale che territoriale. Fine della seconda illusione.
Ma, veniamo ora al punto di merito in questione. Ovvero il concetto di “autonomia” di cui agli articoli 116 e 117 della Costituzione, in base ai quali – occorre precisare – è già prevista la possibilità che, su iniziativa della Regione interessata, con legge dello Stato possono essere attribuite forme e condizioni particolari di autonomia nelle materie di legislazione concorrente, ovvero nelle stesse materie in cui attualmente già spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
Molto banalmente, ma a quanto pare occorre comunque precisare: nulla a che vedere con il sistema di ripartizione del carico fiscale. Chi sostiene il contrario, fa solo propaganda politica! Infatti, ecco quanto dichiarato dal Ministro responsabile per la Coesione territoriale e il Mezzogiorno, Claudio de Vincenti, al Corriere della sera: “se lo Stato darà loro maggiori risorse, diminuirà in egual misura la spesa dal centro. Per esempio, poniamo che in materia ambientale lo Stato spende 80 e le Regioni 20; se si concorda una diversa ripartizione delle competenze, sarà proporzionalmente diversa la suddivisione delle risorse. La Regione salirà per esempio a 50 e lo Stato scenderà in pari misura. Alla fine sempre 100 si spenderà”. Fine della terza illusione.
Infine, considerata l’esperienza del regionalismo soprattutto in questi anni di Seconda Repubblica, quali sarebbero prevedibilmente le conseguenze di questo cosiddetto regionalismo differenziato? Semplicemente, un maggiore spreco di risorse pubbliche. Ma in ogni caso, sia chiaro, una diminuzione del potere contrattualistico dello Stato unitario in Europa. Fine di ogni illusione.
Angelo Giubileo