Cosa succede quando un religioso, un frate, decide d’abbandonare la vita religiosa o il sacerdozio, o quand’è in procinto di farlo e non dice nulla, magari perché sta scoprendo una relazione amorosa con una donna dopo aver smarrito la fedeltà alla sua vocazione? Come devono comportarsi in questa situazione i superiori e le comunità interessate? E’ su questi interrogativi che si è sviluppata la relazione del presidente del Cism (Conferenza Italiana Superiori Maggiori) che riunisce 120 “provinciali” – i superiori maggiori degli Istituti religiosi – in rappresentanza dei 19.005 religiosi italiani.
A dare il via a Salerno ai lavori della 57/ma Assemblea generale del Cism, l’Arcivescovo mons. Luigi Moretti. Dopo il saluto del segretario generale, padre Aldo Broccato, è seguita la relazione del presidente, padre Luigi Gaetani, dal titolo “Un guaritore ferito. Il superiore promotore della fedeltà e della perseveranza”, che ha analizzato il rapporto autorità-obbedienza per dire che la sfida nel vivere le relazioni e nell’essere comunità consiste nella capacità “di uscire da noi stessi per andare verso l’altro, promuovendo una antropologia della convivialità delle differenze, un umanesimo fatto di differenze che convergono”.
L’umanità, ha detto ancora Gaetani, “ha bisogno di carismi, di occhi diversi, che aiutino a vedere benedizioni nelle ferite, nelle piaghe spirituali e relazionali, che aiutino a vedere l’abbraccio che si nasconde nel combattimento con l’altro. Credo che siano questi occhi diversi il grande contributo che i carismi e la vita religiosa possano dare e danno alla cultura della comunione e della fraternità gioiosa”.
Gaetani ha proposto due icone: il bacio di Cristo nella Leggenda del Grande inquisitore di Fedor Dostoevskij; e il rapporto tra Gesù e Giuda. Nel primo caso, uno sguardo disarmante che confonde perché il vero prigioniero non è Gesù ma l’inquisitore; nel secondo, è l’amore che non conosce mezze misure, che sa “confrontarsi drammaticamente con il rifiuto, la resistenza, l’abbandono”. L’immagine è quella di Gesù che dà personalmente a Giuda il boccone, la parte migliore, ben sapendo che lo tradirà. “Per promuovere la fedeltà dell’altro – ha detto – occorre parlargli senza mezze misure. Bisogna potergli dire la verità. Non c’è possibilità di perseveranza se chi sta scantonando non prende coscienza che sta finendo fuori strada. Non c’è animazione e paternità nella menzogna”.
Il Superiore deve avere il coraggio di prendersi cura di coloro che fanno una scelta diversa, di uscire per raggiungere “le loro periferie, quelle inattese di oggi, garantendo umanità e solidarietà”. Un malinteso culturale legge la fedeltà come “sinonimo di ripetitività, noia, conservazione dell’esistente”, e l’infedeltà “come mancanza di valori”. Per padre Gaetani “le infedeltà dimostrano la debolezza del valore fedeltà, non per affermare che l’anarchia sia la regola della vita, ma come indicatore che il valore è deprezzato sul mercato della vita contemporanea”.
Ogni storia di infedeltà “porta il suo peso di sofferenza, nel senso che nessuno fa a meno di qualcosa di importante per il gusto di bruciare i valori, ma per l’incapacità di ritenerli”. Quale il compito del superiore, quale “la vocazione di guaritore ferito che promuove fedeltà e perseveranza nella sua vita e nella vita delle persone che gli sono state affidate?”, si è chiesto, concludendo, il presidente del Cism.
Un servizio “centrato sull’essenziale”, che “ha la sua autorità nell’autenticità” e che “si esprime con profonda umanità”. Ancora “un servizio capace di esprimersi in modo semplice e diretto, che sia un camminare con i fratelli e le sorelle, che cerca la volontà di Dio insieme ai fratelli e alle sorelle”. Infine “un servizio profetico, che ha il coraggio di uscire e permette di uscire, che esprima e diffonda la cultura dell’incontro, un servizio gioioso, portatore di speranza”.
Fonte ANSA
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