La nuova legge, approvata la scorsa settimana, stabilisce forme di tutela per chi denuncia episodi di malaffare sul posto di lavoro.
La norma tutela la identità del “whistleblower” – ovvero il suonatore di fischietto, come viene chiamato nel diritto inglese – privacy garantita dal procedimento disciplinare nel processo civile e penale. Non sono ammesse le segnalazioni anonime. La tutela di chi denuncia si interrompe se la segnalazione si rivela falsa, ad esempio se risulta motivata da vendetta personale.
La legge infatti cancella ogni forma di protezione per chi, in seguito alla denuncia, viene condannato per calunnia o diffamazione, anche solo in primo grado. Infine si applica ai dipendenti della Pubblica Amministrazione, ma vale anche per molte aziende del settore privato.
Con il Governo, hanno espresso piena soddisfazione i presidenti del Senato, Piero Grasso, e della Camera, Laura Boldrini. Il presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, il quale anche di recente aveva sollecitato a gran voce un provvedimento in questa direzione, ha dichiarato: “Malgrado le condizioni per giungere a questo risultato sembrassero inizialmente molto difficili, il Parlamento ha dimostrato che quando in ballo ci sono valori irrinunciabili è possibile trovare una ampia e significativa convergenza fra le varie forze politiche, come conferma la larghissima maggioranza con cui è stato approvato il disegno di legge”.
Il Movimento 5 Stelle, che tre anni fa aveva presentato in Parlamento la proposta originaria, ha esultato ed il PD gli ha fatto eco, rivendicando il merito di aver contribuito a migliorare significativamente il provvedimento. Qualche perplessità, viceversa, è stata mossa da Forza Italia, secondo cui la “whistleblowing” favorirebbe la delazione. In questi giorni sono stati molti i movimenti e le associazioni che trasversalmente hanno tributato il plauso, definendola un passo in avanti nella lotta alla illegalità.
Non senza amarezza, c’è da constatare che più si strutturano necessari mezzi e strumenti per contrastare illeciti, segnatamente nella Pubblica Amministrazione, più cresce la preoccupazione di come sia diffuso e consolidato il problema; a dispetto di una stragrande maggioranza di donne ed uomini che viceversa onorano con dedizione e professionalità il proprio lavoro.
Ovviamente, la esigenza di recidere ogni legaccio con malaffare ed il malcostume nella PA, come altrove, è e resta una priorità ed una fondamentale questione di civiltà che tuttavia non bisogna mai tramutare in una deleteria quanto pericolosa caccia alle streghe.
editoriale a cura di Tony Ardito, giornalista