Tutti i pezzi sono melodicamente accattivanti, l’armonia non è mai banale e spesso è preziosa, prevalgono le melodie accompagnate, ma non mancano i momenti di polifonia. . La profonda “nostalgia” russa intride ogni accordo del grande musicista che ha tradotto il sapore del mondo occidentale nella sua versione intimamente folclorica, quasi una punteggiatura, del senso russo dell’infanzia come dello scorrere delle stagioni. Un ciclo, questo, che si ascolta raramente nella sua interezza e purezza: la Barcarola di Giugno allieta quanto lo squillante Canto del mietitore di Luglio, non così il nostalgico Agosto de’ “Il raccolto” che, sebbene ritmato, sembra ricondurre a ricordi di una stagione che “crepita” nei tasti, giunta oramai al suo termine. La caccia di Settembre è ben più vivacemente assortita, però è da Ottobre ed il suo Canto d’autunno che la Russia si intravede nella lento scorrere del brano, nei primi chicchi di neve che imbiancano la sterminata terra a cui appartengono entrambi, compositore e pianista, annunciando l’arrivo del Grande Freddo. Novembre in slitta sulla neve è vitalmente veloce e particolarmente ardua per il pianista, che disinvolto e dotato vi si arrischia mentre, il Natale di Dicembre è alle porte con i suoi regali, punteggiati di luce sotto l’albero.
La popolarità della Sonata n°2 Op. 35 in Si Bemolle minore di Fryderyk Chopin, che seguirà, comincia dal suo terzo tempo, la Marcia funebre. In anni nei quali, in conseguenza dell’ allargamento del pubblico tradizionale, erano dominanti la musica a programma e la tendenza ad intendere la musica strumentale in chiave psicologica, un pezzo con inserita una dolentissima Marcia funebre rappresentava un invito a nozze. Una sorta di «poema della morte», simile ad un canto solitario, domina la partitura, concepita tra il 1837 e il 1839. La linea di fondo da cui si sviluppa l’intera Sonata lascia trasparire un tratto nichilistico, una sorta di concezione drammatica del destino umano. I profili tematici sono aspri e improvvisi, come succede nel Grave – Doppio movimento, oppure si traducono nei funesti e cadenzati rintocchi di morte della Marcia, sferrati dal basso ostinato della mano sinistra, o si trasformano in linee melodiche intimistiche e sognanti, o ancora sfilano via veloci senza un andamento chiaro, quasi fossero fantasmi senza volto, come si nota nel Presto finale, che in epoca romantica venne fantasiosamente visto come “il vento che soffia tra le tombe”.
L’ultimo brano trasporterà la platea in una scena fuori dal tempo, tratta dalla leggenda di Faust, con il Mephisto Waltz n°1 che Franz Liszt ha composto tra il 1852 e il 1862. Qui il genio ungherese trascrive la seconda parte di una sua composizione per orchestra, due episodi dal Faust di Lenau, e precisamente quello della danza nel villaggio. Potrebbe essere una scena campestre, un bozzetto di vita contadina, ma nello sfondo si avverte la presenza di Mefistofele il quale, col carico delle sue memorie, mette in crisi lo spirito giocoso della danza, con agitazione spasmodica e immagini di una sensualità travolgente.