Sulla affidabilità delle rilevazioni statistiche ci siamo già espressi, sottolineando il valore esclusivamente orientativo degli indicatori quando sono frutto di studi effettuati su fenomeni particolarmente complessi e variamente distribuiti.
Così non è, però, per quelle tabelle, pure definite statistiche, che riportano la sintesi di misurazioni non equivoche e non equivocabili.
E’ di alcuni giorni addietro la diffusione di un rapporto dell’INAPP (Istituto per l’Analisi delle Politiche Pubbliche), ex ISFOL, sulle professioni e sui mestieri più cresciuti nel Mezzogiorno, tra il 2011 e il 2016, rispetto all’intero territorio nazionale.
Non può considerarsi una statistica. E’ una fotografia della realtà. E offre, purtroppo, dati non confortanti.
Perché le tre principali professioni più richieste a livello nazionale e, cioè, gli specialisti di mercato, cresciuti del 35%, i tecnici di produzione industriale, cresciuti del 20% e gli analisti/progettisti di software, cresciuti del 15%, da noi non sono presenti, neppure ai livelli più bassi.
Di contro, da noi, sono cresciute le richieste legate essenzialmente alle attività occasionali o stagionali quali: i camerieri, gli addetti all’assistenza personale, i venditori a domicilio, gli ambulanti, gli addetti alle pulizie.
Una immagine dolorosa, di una realtà dolorosa, che non potrebbe, però, essere diversa visto che sono oltremodo chiari i “numeri” della qualificazione professionale dei nostri giovani: il 75% di quelli compresi tra i 15 e i 29 anni sarebbe privo di laurea (cfr. salernonotizie.it – 01/11/17).
Di fronte a tali indicatori, devastanti soprattutto sotto il profilo morale, appaiono vuote di significato, se non offensive, le dichiarazioni di chi parla di “luce in fondo al tunnel”, di cose che “stanno cambiando”, di “crescita in atto”, di “sviluppo europeo”.
La verità è che stiamo creando, per la nostra terra, un futuro di dipendenza, di sottomissione, di servitù, di inferiorità, nei confronti delle zone avanzate del Paese verso le quali i nostri giovani sono destinati a dirigersi portando valigie piene di speranza e di dolore.
E tutto ciò appare ancora più incredibile tenuto conto della presenza, nella nostra Città, di una Università di “qualità” alla quale una delle più importanti pubblicazioni internazionali per la valutazione degli Atenei, la The Times Higher Education World University Rankings, assegna: a) una posizione compresa nel range 351-400 nel mondo, b) il decimo posto in Italia, c) il primo posto nel Sud.
La stessa fonte rileva, però, che mentre il nostro “campus” ha anche una prioritaria posizione per l’influenza nella ricerca, non sembra eccellere nel trasferimento tecnologico e nella industrializzazione dei prodotti della ricerca.
Cioè, l’Ateneo è centro didattico ai massimi livelli, al punto che le tesi elaborate costituiscono un attendibile riferimento per gli studiosi di tutto il mondo, ma non riuscirebbe a trasferire nel sistema economico i risultati delle ricerche attraverso i cosiddetti “spin-off accademici”. Ovvero, per meglio dire, l’Università non mostrerebbe il necessario dinamismo nella costituzione di società all’interno dei Dipartimenti delle diverse Facoltà, partecipate dallo stesso Ateneo e finalizzate allo sfruttamento economico dei nuovi beni e dei nuovi servizi originati dalla ricerca. Società successivamente da trasferire all’esterno (spin-off) per competere nel mercato globale.
In verità, ci risulta che alcuni spin-off accademici siano in progresso nei Dipartimenti di Farmacia e di Medicina, ma eguali iniziative non ci sono note, salvo errore, in quelli tecnologici benché ne sia evidente la necessità per l’auspicato miglioramento qualitativo del nostro sistema industriale, già classificato dall’Istat con la sigla BA4: “sistema senza nessuna attività industriale e nessuna attività specializzata, nemmeno nel settore terziario”.
Purtroppo, se proprio vogliamo dire, non sembra siano noti neanche significativi rapporti di collaborazione tra Ateneo e Istituzioni per la creazione di organismi a sostegno di progetti di auto-imprenditorialità da parte di giovani laureati disposti a “mettersi in gioco a casa propria” e ad assumere una funzione di richiamo per imprenditori “esterni” nei settori dei nuovi processi, dei nuovi prodotti, delle nuove tecnologie, delle nuove forme di organizzazione manageriale, del digitale e del web.
In sostanza, si potrebbe concludere, amaramente, che l’Università starebbe producendo laureati per l’esportazione.
Per tutto questo, riteniamo sia uno sproposito qualificare Salerno come “Città Smart” solo per qualche dotazione tecnologica, magari ancora da realizzare.
Perché una Città è “Smart” se la “modalità Smart” costituisce una utilità a disposizione di tutti i cittadini, se le aziende produttive utilizzano cicli “Smart”, se sono “Smart” le tecnologie nella prestazione dei servizi, nella mobilità pubblica e privata, nelle risorse ambientali, nelle relazioni interpersonali, nella sicurezza, nelle politiche abitative e nel suo stesso modello di amministrazione.
E tutto questo, noi pensiamo, sia del tutto assente, anche se un cambio di rotta non è difficile. Anzi.
Basterebbe solo destinare prioritariamente le risorse pubbliche alla digitalizzazione dei processi di gestione dei settori amministrativi, tecnici e dei servizi, al sostegno della qualificazione professionale dei giovani, ad una progettualità idonea a sollecitare l’insediamento di aziende innovative e a sostenere l’utilizzo in loco delle competenze.
Nel concreto:
- a) attivare un ”Incubatore di Imprese”: nulla si sa, salvo errore, di quello già realizzato da anni nell’area di Fuorni-Pontecagnano. Un’altra spesa pubblica, cioè fatta con soldi nostri, nata senza un futuro;
- b) creare un “Laboratorio Professionale” a sostegno delle aziende di start-up, costituito da esponenti del mondo universitario, della finanza, delle Associazioni di Categoria, delle professioni (avvocati, commercialisti) per offrire assistenza continua e gratuita alle nuove imprese nel corso almeno dei primi tre anni di attività;
- c) istituire un “Laboratorio di Valutazione” (Impact Hub) costituito da docenti Universitari dei Dipartimenti Scientifici, da imprenditori qualificati, anche di caratura nazionale, da finanziatori privati interessati alla acquisizione di quote di partecipazione nel capitale, da funzionari di società di venture capital e di Istituti Bancari, per la discussione delle idee imprenditoriali, per la verifica della pratica fattibilità, per la costituzione di aziende e per il sostegno finanziario delle stesse;
- d) incentivare lo “Spin-off Accademico” per mettere a frutto le ricerche universitarie e per esercitare una efficace azione di sostegno a favore di nuove iniziative in campo ambientale, della informatica o della tecnologia industriale;
- e) istituire un “Tavolo di Confronto” tra Enti, Associazioni e Ateneo per individuare progetti di ricerca “dedicati alla Città” ed esaminarne la concreta “esportabilità” nel nostro territorio con operazioni di spin-off;
- f) costituire una “Cabina di Regia” permanente tra Enti e Associazioni per monitorare l’andamento delle attività economiche e valutare nuovi indirizzi produttivi per beni e servizi.
Noi pensiamo che il sogno di una “Salerno Città Smart” potrà diventare realtà solo se sarà esercitata una decisa spinta propulsiva, concordata e concertata, da parte di tutti gli Organismi che, per competenza e dovere istituzionale, sono deputati a predisporre le condizioni per la crescita economica, sociale, culturale, equa e solidale della collettività.
Accettare che ai nostri giovani siano offerte posizioni lavorative economicamente e culturalmente “povere”, come denunciato dai dati INAPP, significa accettare un futuro di sottomissione per l’intera comunità.
Questa comunità ha bisogno di amore.
Associazione Io Salerno – Officina di Pensiero
(a Mercoledì prossimo)