Scendevamo le scale, di corsa, con in mano le monete contate: “un etto e non di più”, ci diceva ogni volta la mamma.
L’anziano commerciante prelevava la morbida crema con un cucchiaio di legno da una grande scatola rotonda di metallo e la adagiava con cura su di un foglio di carta oleata. Guardavamo silenziosi e rispettosi, sperando così di avere il “buon peso”, qualche grammo oltre i 100 senza variazione di prezzo. Del resto, il droghiere ci definiva, ormai, “i suoi nipotini”.
Nei quartieri cittadini, a quel tempo, esisteva un rapporto di stretta fiducia tra residenti e bottegai al punto che a questi ultimi venivano confidati fatti e avvenimenti, a volte anche personali, che facevano poi “il giro del rione” consentendo a tutti di conoscere quel piccolo mondo nel quale si viveva. Era una funzione di “rilevanza sociale”, in assenza di altri mezzi di informazione. Lo diciamo per i “millennials”, sempre attaccati al telefonino.
La vita è cambiata, e va avanti, stravolgendo tradizioni e umanità. Potremmo non essere d’accordo. Ma, temiamo, non servirebbe a niente.
E, così, anche le attività al minuto “di vicinato” sono state coinvolte nella vorticosa trasformazione del mondo globalizzato che potrebbe determinare situazioni ancor più devastanti e traumatiche rispetto ad oggi. E già non sono poche le saracinesche abbassate, con i cartelli di locazione, in ogni parte della Città.
Non ci sono dubbi sulle principali cause di questo fenomeno e, cioè:
- a) le liberalizzazioni sfrenate, che consentono l’apertura di nuovi esercizi senza vincoli e senza il rispetto di distanze minime tra medesime attività. Le gestioni sono divenute antieconomiche e sono insorti comportamenti agguerriti che, laddove gli esercizi sono oggetto di continue fasi di apertura e chiusura, possono sottendere infiltrazioni da parte di organismi economici devianti;
- b) la disoccupazione elevata, che abbassa i consumi delle famiglie;
- c) l’avvento e il sopravvento di centri commerciali, che sono sorti tutto intorno alla Città con centinaia di negozi anche in modalità “outlet” e, quindi, assolutamente deleteri per il piccolo commercio;
- d) le vendite via web, che crescono a velocità vertiginosa. Nella giornata del “single day”, l’undici novembre scorso, Alibaba, competitore mondiale di Amazon sul web, ha realizzato un fatturato di 25,4miliardi di dollari (si, avete letto proprio bene: in 24 ore!);
- e) l’assenza di offerte innovative, che possano diversificare le attività rispetto ai bar, le sale gioco, le pizzerie, i negozi di abbigliamento e di calzature di cui è piena la nostra Città.
Tutto questo ci appare inaccettabile, poiché noi pensiamo che il negozio “di vicinato” assolva tuttora una funzione “di utilità pubblica”, confermando quel binomio inscindibile tra insediamenti abitativi e attività commerciali che nel corso dei secoli ha assicurato la salvaguardia della vivibilità dei quartieri, della qualità urbana e dell’equilibrio sociale. Una luce accesa di sera fa amicizia, fa compagnia, fa calore, fa sicurezza. Soprattutto nelle periferie.
Per questi motivi, noi riteniamo sia necessario intervenire con urgenza a difesa del settore attraverso una azione concertata tra Pubblica Amministrazione, Associazioni di categoria e Privati che porti alla assunzione di provvedimenti in grado, da una parte, di ottimizzate le localizzazioni, pur nel rispetto delle norme di liberalizzazione, partendo dal principio secondo il quale “non tutto va bene dappertutto”, e, dall’altra, di modificare l’assetto urbano per garantire l’accessibilità ai clienti, la sosta, la qualità architettonica e ambientale, l’attività promozionale.
Non si tratta, ovviamente, di ripristinare i piani commerciali, ma solo di svolgere una sollecitazione, pomposamente definibile “moral suasion”, per realizzare in ogni quartiere nuovi “centri commerciali naturali” secondo le logiche operative dei grandi Centri Commerciali.
Nella sua più elementare definizione, il “centro commerciale naturale” altro non è che un “percorso protetto di quartiere” costituito da una miscela integrata di attività commerciali ubicate sui fronti contrapposti delle strade, o in reticoli in buona parte pedonali, con negozi al minuto e attrattori sinergici quali: parrucchieri, farmacie, banche, agenzie di affari, assicurazioni, showroom, studi, ambulatori medici, artigianato alimentare e non alimentare.
Si tratta, in sostanza, di realizzare e gestire “in ambito urbano” scenografie del tutto simili ai Centri Commerciali attraverso un duplice intervento:
a) urbanistico, per valorizzare il contesto locale con il risanamento e la eliminazione del degrado, la pedonalizzazione, la illuminazione a tema, nuove piantumazioni, fontane e giochi d’acqua, parcheggi anche temporanei;
b) di marketing, per selezionare le attività più idonee, per sviluppare ogni possibile “economia di scala”, per organizzare eventi e manifestazioni di richiamo;
con la finalità di dare vita ad una “aggregazione trainante” che consenta di superare l’attuale divisione tra “centro”, con attività sufficientemente dinamiche, e “periferia”, con negozi ordinari e residuali, e per elevare dappertutto la qualità del lavoro e della vita quotidiana.
Ciò premesso, noi riteniamo che un possibile piano di rivitalizzazione del commercio cittadino debba comunque estendere la sua progettualità all’intero territorio urbano suddividendone le aree in funzione delle specificità storiche, demografiche e ambientali e, quindi, in almeno tre differenti configurazioni.
Più precisamente:
1) zona storica, quale attrattore culturale ed artistico, con attività legate alla storia, alle tradizioni ed alla cultura quali: laboratori (pittura, scultura, grafica, foto, cinema, etc.) e botteghe artigianali (oreficeria, vetri artistici, ceramica, ferro, legno, oggettistica, veleria, etc.) anche nella forma di botteghe-scuola ove consentire a giovani talenti di apprendere il mestiere. La integrale rivitalizzazione dell’area dovrebbe essere ottenuta con il ripristino dei locali abbandonati o diruti nelle parti più antiche ove, peraltro, si concentrano le attenzioni del turismo (via Tasso e reticoli);
2) zona moderna, quale attrattore commerciale e di servizi, con i “centri commerciali naturali”, il “coworking” (più operatori nella stessa unità fisica e con attività anche non affini) per offrire servizi tradizionali con modalità innovative, e con il trasferimento, a fronte strada, delle attività del terziario e professionali previa variazione delle destinazioni d’uso da C1 ad A10. In tal modo si sosterrebbe la domanda dei locali sfitti di medie dimensioni, si incrementerebbe l’offerta degli appartamenti attualmente utilizzati come studi e, vantaggio non trascurabile, si ridurrebbero i contrasti condominiali.
Tra i possibili interventi pensiamo a: 1) “Centro Commerciale Pastena” in tutta la grande area compresa tra via Madonna di Fatima (da pedonalizzare), nuovo asse da realizzare di fronte al Polo Nautico fino a via Posidonia, piazza Caduti di Brescia e reticoli; 2) Torrione: via Orofino, via Robertelli e reticoli; 3) Carmine, con piazza S. Francesco e reticoli;
3) zona di espansione, quale attrattore per le vendita all’ingrosso e per le attività artigianali pesanti, oltre ai tradizionali negozi di vicinato.
Con questa classificazione, si realizzerebbe un “uso diffuso” della città, si favorirebbe la coesistenza tra cittadini e attività, si proteggerebbe la identità dei luoghi, si difenderebbe il tessuto urbano, si utilizzerebbero i contenitori “vuoti” riqualificando quartieri e spazi pubblici.
Noi riteniamo che il futuro del commercio al minuto possa essere assicurato solo attraverso una “pianificazione urbanistica commerciale” da elaborare con modalità innovative avendo a cuore i bisogni ed i fabbisogni della popolazione nelle sue componenti più deboli e indifese.
Questa Città ha bisogno di amore.
Associazione Io Salerno – Officina di Pensiero
(a Mercoledì prossimo)
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