Così il Salmo 137, che ammonisce i fedeli a non dimenticare mai Yerushalayim: la città eterna per gli ebrei, la città santa (Al-Quds) per gli arabi.
L’ONU non poteva scegliere momento più appropriato di questo del calendario cristiano, che però non corrisponde ai calendari di ebrei e musulmani, per decidere la risoluzione sullo status di Gerusalemme.
Il 21 dicembre l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approva a larghissima maggioranza il progetto di risoluzione, presentato da Turchia e Yemen, che critica il riconoscimento, da parte americana, di Gerusalemme come capitale dello Stato d’Israele. Il riconoscimento era accompagnato dall’annuncio di trasferire l’Ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme.
Un primo progetto di risoluzione sullo stesso punto era stato presentato dalla delegazione egiziana al Consiglio di Sicurezza, nel cui seno la delegazione americana aveva opposto il veto. Gli Stati Uniti vi avevano fatto ricorso contro il parere favorevole degli altri quattrodici membri, compresi quelli tradizionalmente amici come Francia e Regno Unito. Il voto in Assemblea vale certamente meno del voto in Consiglio di Sicurezza, è comunque indicativo di un orientamento comune alla quasi totalità della comunità internazionale.
A poco valgono i toni al limite della minaccia adoperati dalla Rappresentante Permanente USA: il Presidente segue da vicino il voto; prenderemo nota di chi ci vota contro e ce ne ricorderemo; taglieremo gli aiuti ai paesi che oggi si girano contro. Amenità di questo tipo sono inusuali in diplomazia. A difesa della categoria va detto che l’Ambasciatrice Nikki Haley sconta, con la giovane età, il fatto di non essere una diplomatica di carriera.
Il Rappresentante Permanente d’Israele nota che la risoluzione finirà nella pattumiera della storia e che quanti l’hanno votata sono burattini manovrati dal burattinaio palestinese. A chiusura del circo oratorio, il Presidente Trump dichiara che gli USA risparmieranno i fondi per la cooperazione e financo quelli per l’ONU.
Nel frattempo, in non casuale coincidenza, Israele decide di recedere dall’UNESCO, l’agenzia ONU per la cultura e l’istruzione, in tal modo adeguandosi alla decisione di Washington di autosospendersi. A Parigi (sede UNESCO) come a New York (sede ONU) il pomo della discordia è il trattamento riservato a Gerusalemme.
La risoluzione ONU non contesta il legame fra Gerusalemme e il popolo ebraico. La lettura che ne dà la diplomazia israeliana è fuorviante. La risoluzione non interviene su tale rapporto limitandosi a sostenere che lo status della città andrà definito in capo a negoziati fra le parti: si pone nella linea dei precedenti accordi internazionali.
Non si può oggi pregiudicare lo status finale di Gerusalemme perché la decisione pregiudicherebbe l’aspirazione dei palestinesi a fare della città anche la capitale del loro stato a venire.
Buona parte dei paesi condivide l’approccio. E non tutti possono essere tacciati di anti – sionismo. Una considerazione politica, e non razziale né religiosa, li muove a scegliere la continuità.
Il caso ONU ha un impatto domestico. Sia Trump che Netanyahu hanno difficoltà sul piano interno. Ambedue fronteggiano indagini sui loro comportamenti privati che, nel caso di personalità pubbliche, hanno pubblico rilievo. Il rinnovato clamore su Gerusalemme compatta i cittadini attorno ad un tema di facile presa.
di Cosimo Risi