Alcuni giorni fa è arrivato a scuola dopo aver fatto come sempre un’ora e mezzo di cammino, ma a 9 gradi sotto zero. I suoi capelli e le sopracciglia erano completamente congelati e nella classe che frequenta non ha trovato poi particolare ristoro, perché lì non c’è riscaldamento.
L’insegnante lo ha immortalato e pubblicato la foto in rete. Lo scatto, divenuto viale, ha subito fatto il giro dell’intera Cina e scatenato una gara di solidarietà. I compagni di classe lo hanno soprannominato “fiocco di neve”.
Il piccolo è uno dei tanti orfani sociali, vittime dello straordinario sviluppo industriale della Cina, che ha indotto circa 300 milioni di contadini a migrare dalla campagna alle megalopoli per trovare occupazione nelle catene di montaggio e nei cantieri. Costoro vengono chiamati “liushou”, ovvero “lasciati indietro”.
Fiocco di neve, vive con la nonna e sorella in una misera capanna, la madre è scomparsa due anni fa ed il padre è stato costretto ad andare lontano per garantire loro il minimo sostentamento e fa ritorno a casa solo due volte l’anno.
Dopo il clamore suscitato dalla foto, al papà del bambino è stato offerto un lavoro che gli permetta di stare vicino ai figli, mentre le donazioni in soldi e vestiti continuano ad arrivare copiose da tutta la Cina; tanto che la Contea ha istituito un conto dedicato. Nel frattempo le elargizioni pervenute hanno già superato i 2milioni di euro e continuano a crescere. Le autorità locali stanno invitando i benefattori di non aiutare solo Manfu perché sono in molti quelli ad avere bisogno come lui.
La storia di Wang Manfu stimola due riflessioni. La prima è sulla Cina attuale: da un lato una superpotenza economica capace di sfornare miliardari e di comprare persino interi pezzi di Occidente e dall’altra una nazione nella quale emergono imponenti e prepotenti sacche di povertà.
La seconda è sull’uso dei social network: spesso limitato a scopi frivoli, se non talvolta deteriori ed addirittura irresponsabili, ma quanto accaduto a Fiocco di neve esalta ancora una volta la funzione sociale e divulgativa che hanno gli strumenti di comunicazione di massa. Il colpevole non è dunque il mezzo, ma l’utilizzo distorto che se ne fa.
Editoriale a cura di Tony Ardito, giornalista
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