La fila dei ragazzini era lunga, all’epoca le famiglie salernitane figliavano essendo povere e speranzose, e paziente. Qualcuno sfogliava l’albo dei fumetti, altri ascoltavano le parole rassicuranti dei genitori, vedrai che non ti fa niente, un graffietto sul braccio, una spalmata di tintura di odio e il segno passa in qualche giorno.
La vaccinazione di massa era ritenuta una conquista sociale, uno dei primi segni di quello che sarebbe divenuto il boom economico. Sentire oggi che la Sindaca della Capitale vuole liberalizzare le vaccinazioni in base ad oscure motivazioni liberiste, qualche pensiero te lo dà e non solo di nostalgia del tempo che fu.
Nel frattempo è intervenuto un parere scientifico dell’OMS (Organizzazione Mondiale Sanità) che derubrica il vaccino a pillola per il mal di testa che assumi solo in presenza del dolore? Un Premio Nobel della Medicina o della Chimica ha confutato la communis opinio scientifica che il vaccino s’ha da fare? Non risulta.
Risulta invece la perversione del metodo: si pretende di applicare alla profilassi medica la democrazia della rete dove uno vale uno. E cioè l’ignorante (nel senso letterale che ignora) vale quanto il sapiente (nel senso letterale che sa) e le due opinioni si elidono talché la pubblica autorità lascia libertà di coscienza.
Lo stesso misfatto, nel nome della libertà di coscienza, si consuma da anni sull’applicazione della legge sull’interruzione di gravidanza e prevedibilmente sta per consumarsi sulla legge del testamento biologico. Così è se vi pare, non è solo il titolo di Pirandello, è la presa di distanza dalle responsabilità da parte di chi amministra la cosa pubblica.
La scienza non è democratica, reitera lo scienziato che per questa audace quanto scontata affermazione ha rischiato di essere candidato alle elezioni politiche, rischio da cui si è sottratto per continuare nella sua predicazione presso il popolo affinché apra la mente.
Nel 2003 si inaugurava a Bruxelles il semestre della presidenza italiana del Consiglio UE. Ci voleva un testimonial d’eccezione e noi invitammo la donna più celebre d’Italia: Rita Levi Montalcini. Nel 2001 la Signora era stata nominata Senatore a vita dopo avere ricevuto il Nobel per la Medicina.
Novantenne e quasi cieca, fragile e piccola, la testa di capelli bianchi perfettamente in piega, la gonna larga fino alle caviglie come usava un tempo, il bastone d’appoggio, la Senatrice si fece accompagnare da me che le tenevo discretamente il braccio fino al divano, dove sedette sulla punta tenendo il bastone fra le gambe. Ascoltò i vari interventi con quel suo sguardo che sembrava guardare lontano ma che la cecità costringeva all’interno finché fu chiamata a concludere. Le sue parole arrivarono all’uditorio che si fece silenzioso.
Negli anni quaranta aveva studiato a Bruxelles per scampare alle leggi razziali: il cognome la individuava fatalmente come ebrea. Ringraziò Primo Levi per averla definita “una piccola signora dalla volontà indomita e dal piglio di principessa”.
Dichiarò di essere atea: “Non so cosa si intenda per credere in Dio”. Eppure aveva devoluto parte del compenso del Nobel alla costruzione di una nuova sinagoga a Roma. Ricordò che il padre invitava lei e la sorella gemella alla libertà di pensiero: “Noi siamo diventate libere pensatrici prima ancora di sapere cosa volesse dire pensare“.
Vicina alla battaglie per i diritti civili e le libertà, Rita Levi Montalcini non ebbe mai dubbi su certi punti: che la scienza si costruisce con la fatica dello studio e della ricerca; che il sapiente ha il dovere di diffondere i risultati del suo sapere se questi servono all’emancipazione umana. La scienza non è per tutti né da tutti. Opinioni diverse si possono contrapporre ma sempre sulla base della conoscenza. Rita Levi Montalcini morì ultracentenaria nel 2012, troppo presto, per sua fortuna, per assistere a certi scempi intellettuali.
Cosimo Risi