Le dichiarazioni di Jean-Claude Juncker, la settimana scorsa, sulle elezioni italiane fanno rumore. Il 4 marzo è segnato in rosso nel calendario della Commissione, sostiene il Presidente. Ci sta il voto alla SPD tedesca sulla possibilità di rinnovare la grande coalizione con i cristiano-democratici, ci sta il voto italiano.
Il secondo inquieta Bruxelles più del primo. Già questo la dice lunga sugli umori della capitale europea circa i destini di Germania e Italia, e dovrebbe farci riflettere invece che indignarci per la presunta violazione della sovranità.
Alla Germania si riconosce la patente della stabilità. Ammesso pure che la SPD si chiami fuori, Angela Merkel costituirà un governo che cercherà al Bundestag la maggioranza. Se non la trova, chiederà al Capo dello Stato di indire nuove elezioni, alle quali è prevedibile che il partito della stabilità prevalga su quello dell’incertezza.
La Germania correva pure ai tempi della crisi finanziaria, ora che la sua corsa può procedere senza impicci, nulla la deve fermare, neppure le resipiscenze dei giovani socialdemocratici E d’altronde non pare che l’Europa si butti a sinistra, come Totò nel film.
L’Italia è considerata il grande convalescente. Uscita tramortita dalla crisi, si sta riprendendo, gli indici statistici abbondano di cifre positive, sebbene in percentuale ridotta rispetto al resto della zona Euro. Qualcosa rallenta la nostra ripresa, Qualcosa che la Commissione individua nella perenne instabilità politica. Solo in questa legislatura abbiamo conosciuto vari governi e quello in carica è il frutto di abili manovre di compromesso.
Non abbiamo il sistema semi – presidenziale francese, che garantisce al Presidente una stabilità lunga cinque anni, né abbiamo l’attitudine alla conservazione (in senso positivo) del sistema tedesco. Stiamo in una terra di mezzo, che induce il Presidente della Commissione a dichiararsi inquieto per la prospettiva di un governo non operativo. Perché quello Merkel lo sarebbe e l’italiano no? Ecco la domanda da porre a Juncker, prima di rimproverargli l’intervento a gamba tesa.
Juncker ha poi corretto le dichiarazioni registrate durante il dibattito ad un centro studi brussellese. E’ la sua abitudine: rilasciare frasi forti, vedere l’effetto che fa, correggere il tiro fino quasi all’auto smentita. Se è un gaffeur come viene disegnato, non lo è per caso. C’è dello studio nel suo parlare ad alta voce.
Il Presidente del Consiglio è subito volato a Bruxelles per chiarire e rassicurare, avendo dichiarato alla partenza il pleonasmo che tutti i governi sono operativi. Vero. Ma è pur vero che alcuni governi lo sono di più e altri di meno. L’Europa si attende che il nostro dopo il voto lo sia al massimo.
Quelle della Commissione e dell’Unione in generale – non dimentichiamo le dichiarazioni di Macron e Merkel – non sono classificabili come ingerenze in senso formale né sostanziale. Non in senso formale: il Trattato sull’Unione europea ci vincola al patto di reciproca fedeltà e lealtà. Ciascuno stato membro può guardare in casa del vicino, altrimenti non avremmo avviato, proprio noi italiani, la procedura di legalità nel confronti della Polonia.
Non in senso sostanziale: la trasparenza e l’affidabilità dei comportamenti devono essere massime in seno alla zona Euro. La tenuta della moneta è data dalla tenuta dei suoi singoli azionisti. E l’azionista – Italia ha un considerevole pacchetto.
Siamo giustamente orgogliosi di essere la seconda potenza manifatturiera e fra le prime potenze agricole del continente. Il primato ci pone l’obbligo di essere un libro aperto per i nostri partner.
Cosimo Risi