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Di Maio: “Noi al Governo come forza nazionale, non come la Lega”

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Il tempo dei brindisi e dell’ubriacatura per il trionfo alle politiche, nel campo del M5s, volge al termine. Ma intanto a Pomigliano si è tenuta una festa di piazza nella quale è intervenuto Luigi Di Maio. Da qui, sua città di residenza, il leader pentastellato ha ringraziato gli elettori e spiegato “non siamo una forza territoriale, siamo inevitabilmente proiettati al governo di questo Paese, non come altri che sono forze politiche territoriali che stanno a oltre 15 punti da noi”.

E ha aggiunto: “Non siamo né di destra né di sinistra. Ora abbiamo un unico grande obiettivo, che è prendere questo consenso non per andare a Palazzo Chigi ma per riunire il primo Cdm e fare le tre cose promesse da Piazza del Popolo, abolire i vitalizi, tagliare gli stipendi ai parlamentari e prendere 30 miliardi dagli sprechi per metterli in diritti”.

Si inizia dunque a ragionare nella prospettiva di dare forma e numeri al primo governo della Terza Repubblica. Secondo molti osservatori, quando il presidente Sergio Mattarella darà il via alle consultazioni, non potrà negare a Luigi Di Maio, candidato premier del primo partito italiano, il giro di valzer iniziale: un mandato esplorativo con cui trovare intese con altre forze politiche o con singoli deputati alieni al movimento per arrivare così a costruire una maggioranza.

Già, ma con chi dialogherà il M5s per tentare l’approdo a Palazzo Chigi? La domanda viene rivolta a Beppe Grillo, ancora a Roma 48 ore dopo la domenica del trionfo. “C’è un capo politico…” risponde secco il fondatore del movimento che, prima di fare il suo passo indietro, ha sempre respinto l’ipotesi di un M5s disposto a scendere a patti con altri pur di governare.

Il capo politico, Luigi Di Maio, commentando la vittoria, è stato chiaro. La consistenza del risultato elettorale impone ai pentastellati l’assunzione di una responsabilità storica, guidare il Paese, che fa evaporare una volta per tutte il totem del monocolore a 5 Stelle. È necessario, dunque, aprirsi e anche su questo Di Maio è stato chiaro: il M5s ha un suo programma ed è pronto a confrontarsi con chiunque vi trovi dei punti in sintonia con la propria agenda.

Per approccio anti-establishment, linguaggio e scarso feeling con l’europeismo e l’immigrazione, il primo indiziato sarebbe Matteo Salvini. Ma si può credere che, una volta padrona del centrodestra, la sua Lega sia disposta a smarcarsi dalla coalizione per mettersi al servizio di un governo altrui, piuttosto che logorarlo dall’opposizione in attesa di incassare il premierato alla prossima, presumibilmente anticipata, tornata elettorale.

Il Movimento, quindi, sembra guardare al Pd. Con una strategia precisa.Attaccare Renzi. Inserirsi nelle divisioni interne al partito. Ha cominciato a farlo ieri Alessandro Di Battista, prendendosela con il segretario dem per le dimissioni differite.  D’altra parte trattare con un Pd ancora renziano sarebbe un danno di immagine per i pentastellati che l’hanno sempre demonizzato. E lo scontro nel Pd, sulle prospettive del dopo voto, è effettivamente in atto: la direzione di lunedì potrebbe rappresentare uno snodo decisivo.

Renzi vorrebbe lasciare solo dopo aver gestito la linea del Pd alle consultazioni, per dire no a Di Maio e a Salvini. Senza Renzi, nel Pd non si potrebbe escludere un altro ragionamento con relativa opzione: sostenere il M5s pur di porre un argine allo scenario di un governo Salvini inevitabilmente sbilanciato a destra ora che l’urna ha messo all’angolo i moderati di Berlusconi e Forza Italia.

Di Maio guarda con attenzione all’evoluzione della situazione in casa dem, nella speranza che i malumori nei riguardi del segretario decollino verso l’aperta rivolta inducendolo a farsi da parte da subito. Una volta “derenzizzato”, il Pd potrebbe ascoltare e decidere se sostenere i “punti” proposti da Di Maio, incassando la presidenza di una delle due Camere. Su simili e altre tentazioni, Matteo Renzi chiede chiarezza, a partire dalla Direzione convocata per lunedì prossimo: “Chi vuole portare il Pd a sostenere le destre o i Cinque Stelle lo dica” scrive su Facebook.

Senza aspettare la Direzione, lo dice il governatore pugliese Michele Emiliano: “Il Paese non ha possibilità di attendere lunghe trattative, si deve sapere subito che il Pd sosterrà lo sforzo di governo del M5s. Bisogna evitare la saldatura con le destre, con l’astensionismo e la perdita di speranza. D’altra parte con Pier Luigi Bersani noi avevamo chiesto a parti invertite la stessa cosa al M5s. Vuol dire che la ritenevamo una cosa possibile. Quindi adesso, a parti invertite, possiamo fare la stessa cosa. I numeri ci sono e soprattutto c’è una coincidenza programmatica rilevante”. Dario Franceschini, indicato dalle ricostruzioni dal Nazareno come uno dei più delusi dalle ultime mosse di Renzi, nega tutto: “Mai pensato a governo con destra o M5s”.

Una prospettiva, l’esecutivo a cinque stelle, che non spaventa gli industriali, al di là del lavoro svolto da Di Maio in campagna elettorale per vestire il M5s di affidabilità istituzionale reprimendone i rigurgiti giacobini. Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fca, dal Salone dell’auto di Ginevra: “Salvini e Di Maio non li conosco, non mi spaventano. Paura del M5s? Ne abbiamo passate di peggio”.

“Sono un partito democratico, non fanno paura” sentenzia anche il presidente degli industriali Vincenzo Boccia, che però avverte: “Riteniamo che alcuni provvedimenti abbiano dato effetti sull’economia reale in questo momento storico, in particolare il Jobs Act e il piano Industria 4.0. Smontarli significa rallentare, invece dobbiamo accelerare. Se vogliamo ridurre il divario e aumentare l’occupazione nel Paese abbiamo bisogno di una precondizione che si chiama crescita”.

Il fondatore di RepubblicaEugenio Scalfari, che in passato aveva espresso la sua “preferenza” per Silvio Berlusconi in alternativa a Luigi Di Maio, rispondendo a una domanda di Giovanni Floris durante la puntata di ‘Di Martedì, dice che “oggi, tra Salvini, che è quello di prima, e Di Maio che sembra radicalmente cambiato, sceglierei Di Maio”.

Quanto al cavallo di battaglia grillino del reddito di cittadinanza, “bisogna vedere cosa hanno veramente in mente di fare, quanto é la quota in termini di costo per lo Stato e quindi quanto incide dal punto di vista di deficit e debito pubblico – osserva Boccia -. Il debito pubblico non é una questione europea é una questione italiana. Tra l’altro, siccome nei prossimi anni avremo sicuramente un aumento dei tassi di interesse, prima riduciamo il debito e meglio è per il Paese”.

Fonte LaRepubblica

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