Un giovane spacciatore di droga a domicilio, una ragazza disorientata a cui viene riconsegnato il suo cane lupo. Un venditore di hot dog appena uscito dalla galera. Un misterioso studente, un pulitore di vetri impegnato in una pausa con una porno attrice, un anziano pittore dilettante, un gruppo di paramedici impegnati in una difficile operazione di soccorso e delle suore affamate. Sono questi i personaggi le cui vicende si intrecciano sullo schermo ognuna delle quali ha luogo tra le 17 e le 17.11 di un giorno qualunque a Varsavia.
Jerzy Skolimowski a 77 anni e con una importante e internazionalmente riconosciuta carriera alle spalle non smette di sperimentare. Lo fa del tutto privo di quello spirito velleitario che anima altri sui colleghi (giovani o meno giovani che siano). Il suo è uno sguardo tanto solidamente pessimista quanto altrettanto saldamente ancorato a una lucidità narrativa che in questa occasione mette anche in gioco un uso della colonna sonora di grande impatto e significatività.
La contemporaneità delle azioni che porta sullo schermo si presenta con l’eccezionalità e la banalità del quotidiano in cui siamo quotidianamente immersi. Ci sono piccoli uomini e donne pirandellianamente più o meno feroci, furbi, ansiosi, spregiudicati o impegnati a salvare vite. Ognuno di loro (ognuno di noi afferma il regista) è appeso al caso. “Chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita?” (Matteo, 6-27) sembra essere questa frase evangelica, riletta in una chiave in cui la speranza non trova spazio, a guidare la riflessione di Skolimowski.
Siamo tutti affidati al caso e indietro non si può mai tornare per modificare il passato. Nello schermo dell’esistenza di ognuno per il regista polacco c’è un pixel che si è irrimediabilmente spento o che può, altrettanto irrimediabilmente, essere sul punto di farlo. Il problema è che non siamo in grado di percepire la minaccia, di leggere i segni di avvertimento (siano essi un aereo che vola temibilmente a bassa quota o una colomba che va a sbattere contro un vetro). Preferiamo pensare ad altro perché così vivere può sembrare più facile. Sembrare, niente di più.