A pagare per i presunti capricci del Presidente sono gli uomini a lui prossimi.
Poche sono le donne nell’Amministrazione e quelle che ci stanno, resistono in quanto lontano dal cono di luce. Il riflettore è ora puntato su due figure chiave della politica estera americana, che è poi la politica estera dell’Occidente. Nell’attesa che l’Europa si dia la propria.
Rex Tillerson era il Segretario di Stato. Prelevato dalla ExxonMobil, dove aveva meritato il riconoscimento della Russia per gli affari reciprocamente vantaggiosi con Mosca, Tillerson era l’esponente businnes – oriented dell’Amministrazione. Pochi slanci ideologici e molto pragmatismo. Chi conclude gli affari vuole la soddisfazione dell’interlocutore, non fargli la guerra a parole se non nei fatti. Di qui il suo approccio poco muscolare alla Corea del Nord.
Se il Presiedente nordcoreano insegue una vittoria di prestigio, essendo quella sul terreno militare palesemente impossibile con il “nemico” americano, allora riconosciamogli un ruolo. Di qui il lavorio diplomatico di Tillerson per spingere Kim e Donald all’incontro diretto.
Una stretta di mano è quanto serve all’asiatico per vedere riconosciuto il suo ruolo nel mondo. Tillerson era stato di fatto deprivato del dossier Medio Oriente. A favore non di altra autorità istituzionale ma del genero del Presidente, quel Jared Kushner che poteva vantare, oltre alla familiarità col suocero, il fatto di provenire da una famiglia ebraica influente e amica da tempi insospettabili del Primo Ministro d’Israele. Tillerson è sostituito da Mike Pompeo, già Direttore CIA, noto per l’origine italiana e le idee conservatrici.
A stretto giro, il Presidente rimpiazza anche il Consigliere per la Sicurezza Nazionale. Al posto del Generale McMaster nomina l’Ambasciatore John Bolton. I due personaggi, l’entrante e l’uscente, sembrano smentire il luogo comune che vuole il militare incline alla guerra ed il diplomatico incline al negoziato.
Il militare conosce la guerra sul terreno e sa quante sofferenze arrechi persino al vincitore: la evita nella misura del possibile. Il diplomatico discetta della guerra come del gioco degli scacchi, dove mangi i pedoni e quelli risorgono alla partita successiva.
Di Bolton si ricordano i trascorsi alla Rappresentanza Permanente presso l’ONU, dove difese l’invasione dell’Iraq sotto la Presidenza di George W. Bush, ed i discorsi da opinionista alla rete Fox News. Al nocciolo il suo pensiero è che gli Stati Uniti hanno il diritto di intervenire nelle crisi del mondo per fare valere il loro peso e la loro visione.
Il volto dell’Amministrazione è già pugnace. La lotta dei dazi con la Cina e parte del resto del mondo ne è la prova. Il Presidente doveva tenere fede alla promessa elettorale di migliorare la bilancia dei pagamenti riducendo le importazioni dall’estero. Non dall’Unione europea, almeno per ora, ed infatti Bruxelles gode dell’esenzione provvisoria fino a maggio.
La Cina risponde in maniera blanda, probabilmente consapevole che uno sbilancio così netto a suo favore non è alla lunga sostenibile. Pechino cede sul commercio in cambio del silenzio americano su altri fronti, ad esempio quello sempre discusso del rispetto dei diritti umani.
Le elezioni di metà termine al Congresso sono la scadenza cui guarda l’Amministrazione USA. Dopo il 2016 saranno la prima prova della tenuta elettorale del Presidente e del Partito Repubblicano.
Cosimo Risi
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