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Mondonico: cori, fumogeni, sedie, una folla a funerale

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I cori da stadio, i fumogeni, bandiere e sciarpe non solo delle sue squadre, poi le sedie, in omaggio alla sua celebre protesta contro l’arbitro della finale di coppa Uefa del ’92 fra Torino e Ajax.

Nel funerale di Emiliano Mondonico c’è stato tutto il simbolismo della sua carriera da calciatore e allenatore, ma non è mancato il racconto di come cercasse di giocare la vita su altri campi, al servizio di persone in difficoltà, il ‘Mondo’, che giovedì a 71 anni si è arreso al tumore all’addome contro cui lottava dal 2011.

Gli hanno dato l’ultimo saluto in migliaia, impossibili da contenere nella basilica della sua Rivolta d’Adda, il paese in provincia di Cremona dove lascia la mamma Stefana di 99 anni, la moglie Carla, e figlie Francesca, Clara e i nipoti, attorno ai quali si è stretto l’abbraccio di molti protagonisti del calcio (la Serie A gli gli dedica un minuto di silenzio sui campi), fra cui Urbano Cairo, Giancarlo Antognoni, Filippo Inzaghi, Gianluigi Lentini, Paolo Pulici, Maurizio Ganz e Angelo Colombo.

Oltre a una folla di amici, compaesani, appassionati, tifosi ultrà di varie squadre, fra cui Atalanta, Torino, Fiorentina, Albinoleffe, Cremonese, con il leader di quelli atalantini, Claudio Galimberti detto il ‘Bocia’, a guidare una sorta di servizio d’ordine.

“Ricordo quando una volta gli arrivò la telefonata di Moggi che gli disse di andare al Cosenza”, racconta il proprietario di un bar dove Mondonico trascorse tanti pomeriggi. Poco dopo passa il feretro, fra due ali di folla, le bandiere, i fumogeni, accompagnato da un corteo silenzioso lungo il centinaio di metri fra la casa della sua famiglia e la chiesa. Sul sagrato partono l’applauso, i fumogeni, il coro ‘Emiliano alzaci la sedia’, e sullo sfondo spunta quella pieghevole brandita da un tifoso con indosso la maglia del Torino, rievocazione di quello che anche Cairo considera un simbolo del ‘granatismo’, nonché l’emblema di un allenatore “spontaneo, genuino e anche un po’ ribelle”.

Poco distante, domenica scorsa, l’ultimo fugace incontro con monsignor Dennis Feudatari. Riuscì solo a dire “è dura”, racconta il sacerdote durante il rito funebre ricordando la capacità di Mondonico di andare “oltre la carriera di allenatore e calciatore, la sua continua ricerca di trovare altri luoghi e circostanze dove giocare la vita, dove darsi tutto a tutti”.

Nella sua Rivolta lo faceva ogni mercoledì sul campo dell’oratorio, allenando alla vita persone alle prese con dipendenze da alcol, droga e gioco d’azzardo, seguiti dall’associazione l’Approdo e dallo specialista dell’ospedale Santa Marta Giorgio Cerizza, che al termine della cerimonia ha reso omaggio a Mondonico ringraziandolo commosso e ricordando la sua lezione (“Una sconfitta non è mai il capolinea”). Poi, prima dell’ultimo viaggio fino al cimitero locale, le note di ‘Io vagabondo’, e ancora cori, applausi, bandiere, fumogeni, fuochi d’artificio e le sedie.

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