Quando una separazione coniugale, non è sempre un “lutto”. Quello che può apparire un post eclatante, in realtà diventa un momento di riflessione su come un evento, che generalmente tende a lasciare amarezza e tristezza negli animi, possa invece costituire un punto di partenza per i singoli partner e un consolidamento positivo per i figli, nel riconoscere l’unitarietà e l’indissolubilità della coppia genitoriale.
Già, perché le separazioni interrompono i rapporti coniugali, ma non la coppia genitoriale. Abbiamo chiesto a Maria Citro, donna da sempre impegnata in prima fila nel sociale anche attraverso la sua attività politica, il percorso che l’ha condotta a giungere ad una separazione serena.
«Dopo dieci anni di fidanzamento e quindici di matrimonio – ci dice – di un amore saldo e vissuto in maniera profonda che ha visto la nascita di due figli e la scelta di essere anche genitori affidatari, ti rendi conto che tante cose cambiano: le scelte lavorative incombono, gli stili di vita cambiano, il sistema va in bilico, l’omeostasi non si ristabilisce. La famiglia, considerata come un “sistema aperto che funziona in relazione al suo contesto socio-culturale e che si evolve durante il ciclo di vita” (Walsh), ecco che si trasforma.
Tutto ciò che si è messo in atto, tecniche e strumenti non hanno raggiunto l’obiettivo in quanto, i bisogni individuali hanno preso il sopravvento rispetto a quelli della coppia. Tali eventi si risolvono col superamento della “crisi” attraverso una ristrutturazione della trama dei rapporti tra i membri della famiglia che trovano modalità relazionali alternative e più funzionali per il nuovo assetto.
La capacità di trovare un nuovo equilibrio è indice di sanità e di presenza di risorse nuove e adattive. L’assenza di cambiamento è indice di sofferenza e malattia. L’atto pratico è la separazione: tristezza, rabbia, delusione, impotenza, sconforto tutte emozioni negative che possono attraversare i due coniugi, emozioni che se non canalizzate, gestite ed elaborate adeguatamente, il più delle volte sono protagonisti di episodi di violenza e di mancanza di rispetto».
La tesi di Maria, che in realtà si occupa di “curare le relazioni” è quella secondo la quale culturalmente non siamo ancora preparati ad affrontare una separazione, un divorzio o una conflittualità familiare con animo sereno e conciliante. Il fatto di dover fare i conti con il fallimento di un progetto su cui si erano investite risorse materiali e, soprattutto, risorse emotive, fa sì che il dolore provato spesso sfoci in rabbia. Gli stereotipi dei concetti quali famiglia, marito, moglie, talvolta ingabbiano rigidamente le persone che non riescono, poi, una volta in crisi, a rivedersi in nuovi contesti e nuovi ruoli.
Si destruttura il progetto, l’unico progetto di vita possibile, e poi si sprofonda nel baratro. «È il non contemplare il cambiamento, il non aver investito sull’educazione affettivo e sul rispetto delle emozioni a creare i disastri – sostiene Maria – Siamo stati educati a cercare i colpevoli, più che le soluzioni, e il risultato è che diventiamo ciechi di fronte al problema, cercando di annichilire l’avversario, anziché stimolare le energie per cambiare vita».
Questo articolo, accompagnato dalle riflessioni, non vogliono essere un inno alla separazione come unica alternativa valida al conflitto di coppia, ma un appello alla responsabilità e alla consapevolezza: talvolta è opportuno riconoscere i propri limiti e chiedere aiuto, consulenze specialistiche per facilitare la comunicazione, per canalizzare le emozioni negative, evitando l’uso della violenza. Un aiuto per ritornare a vivere bene.
Fonte IlVescovado.it