L’espressione, attribuita a Confucio, rispecchia fedelmente la fase globalista che stiamo attraversando a diverse latitudini e longitudini, escluse le situazioni di perdurante e conseguente immobilismo che attraversano la stragrande maggioranza delle società sovraniste del continente africano (in particolare, per quanto concerne l’area subsahariana), dell’area mediorientale, in gran parte del continente asiatico, e in buona parte dell’America latina.
In breve, si tratta di tutte aree geopolitiche già caratterizzate da una forte accelerazione dei tassi demografici di crescita delle popolazioni, tassi che peraltro nelle medesime aree sovrappopolate sono stimati in tendenziale e costante aumento oltre il 2%.
In generale, sopra tutti, è questo il dato che emerge: la popolazione mondiale è cresciuta dal 1950 a oggi, da1,5 circa a 7,5 circa miliardi di persone e per il 2050 le stime più accreditate parlano di oltre 9 miliardi di persone. Salvo fenomeni eccezionali, quali guerre e carestie.
Normalmente discutiamo, ovunque ma molto meno nei territori succitati per ragioni discriminanti che è fin troppo facile comprendere, delle dinamiche e in specie dei rapporti di forza che regolano l’attività di governo dei territori; eppure, solitamente, trascuriamo l’elemento che è alla base di tali rapporti, ovvero, secondo l’uso di una terminologia paretiana abbastanza diffusa, loscambio di potere tra una “élite” e la “restante parte del corpo sociale”.
Nell’Occidente industrializzato, il processo di consolidamento e revisione di questo scambio è continuo ed è iniziato dopo una prolungata fase di rottura coincisa con lo scoppio della Prima e Seconda Guerra mondiale.
Da circa trent’anni, il nuovo processo di consolidamento e revisione prosegue su scala mondiale, mediante la giovane apertura dei mercati commerciali e finanziari oltre quelli tradizionali della vecchia politica fino ad allora ancorata al sistema dei due blocchi dell’Est sovietico e dell’Ovest statunitense.
Questa fase ha incontrato e incontra ostacoli e fratture, trattandosi pur sempre dell’esercizio di dinamiche e rapporti di forza contrastanti, fino all’attuale stato di crisi. Ma, il nodo gordiano dell’intera questione che occorre sciogliere riguarda, ora, l’obiettivo del nuovo assestamento che bisogna raggiungere. Salvo rotture.
In rapida ed estrema sintesi, guardando agli ultimi trent’anni a Ovest, rammento che la fase dell’attuale crisi dei rapporti internazionali è iniziata soprattutto attraverso un rinnovato scontro tra forze di potere occidentali e mediorientali, significativamente attraverso le guerre del Golfo, è proseguita con la crisi di debito sovrano dei paesi dell’Ue – quella che ha caratterizzato l’assetto socio-politico-economico dei PIIGS, acronimo tratto dal termine inglese pigs che tradotto in italiano sta per maiali, e cioè Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna -, l’elezione di Trump alla Casa Bianca, la Brexit e quanto accade ormai quotidianamente, ancora sotto l’egida degli Stati Uniti, a diverse latitudini e longitudini del pianeta.
Per quanto concerne l’area dell’Unione Europea, lo stato attuale di crisi deve fare i conti con una situazione che senz’altro desta maggiore preoccupazione e legata allo sviluppo dell’immigrazione dal sud e dall’est del mondo.
Il compito che attende, più di tutti, il governo dell’Ue è senz’altro complicato, difficile e impegnativo. Per cui, senza dubbio alcuno, occorrerebbe piuttosto uno sforzo comune di tutte le componenti socio-politiche-economiche, impegnate sia sulle diverse scale nazionali che sovranazionale.
Non è più tempo di distinguo, occorre impegnarsi tutti insieme, davvero tutti insieme, per ritrovare una soluzione capace di garantire stabilmente un nuovo assetto di potere utile a regolare pacificamente lo scambio tra “élite” e “restante parte del corpo sociale”. Grande è la confusione sotto il cielo, ma, se c’è questo impegno comune, la situazione potrebbe rivelarsi eccellente.
Angelo Giubileo