Recitava così una massima attribuita a Mao Zedong, semplicemente detto il Presidente Mao, che leggevamo in quel breviario tascabile che era il Libretto rosso, dove tutte le verità, come si addice ai testi religiosi, erano avvolte in un linguaggio oscuro e perciò idoneo alle più svariate interpretazioni.
Grande è la confusione sotto al cielo di Roma. A Berlino invece il cielo conosce le sole varietà del grigio, l’uniformità è garantita. Il nostro Ambasciatore in Germania è costretto a mandare una smentita alla versione on line di Der Spiegel per un’affermazione della stessa testata che gli italiani sono scrocconi.
Molti anni fa la stessa testata espose in copertina la foto d’un piatto di spaghetti condito con una P38, la pistola in voga presso i terroristi. L’Ambasciatore non ce l’ha con la libertà di stampa che, specie in seno all’Unione, è libertà di critica nei confronti degli altri stati membri. In diplomatichese si direbbe che ciascun partner ha “un droit de regard” nei confronti degli altri: può spiare nel piatto del vicino senza essere per questo accusato d’ingerenza.
L’Ambasciatore ce l’ha con la definizione di scrocconi rivolta a tutto un popolo, che certo avrà fra le sue fila i nullafacenti ma conta anche gli infaticabili lombardo – veneti che mandano avanti la baracca e si aspettano di essere sgravati dal fardello fiscale grazie alla imposta piatta. Imposta piatta: una parola banale che, detta in inglese, acquista la nobilitade di “flat tax”. E vuoi mettere.
Una copertina di un altro magazine tedesco mostra un camioncino – in salernitano: un tre ruote – bardato del tricolore patrio che precipita nel burrone mentre qualcuno dall’interno urla “mamma mia!” (in italiano nel testo).
Quello del “mamma mia” è un epiteto che perseguita qualsiasi italiano all’estero, anche l’emigrato di lusso quale il diplomatico. Per prendermi in giro da solo, quando qualcosa andava storto nelle trattative, portavo le mani ai capelli e mimavo con la bocca “mamma mia”, a volte anche “maronna mia”.
Questo convinceva gli interlocutori che: rispettavo la consegna del silenzio in sala, conservavo l’ancestrale abitudine a rivolgermi a mammà in caso di bisogno. Come se solo gli italiani maschi avessero la mamma mentre i tedeschi e gli olandesi e i danesi nascessero sotto al cavolo.
La verità è che lo stereotipo ha una forza evocativa irresistibile. Una docente di economia spiegava sulla 7 che in Europa serpeggia il dubbio che, con la scusa del sovranismo, gli italiani cercano di non onorare i loro debiti.
Ci stanno a provare. E’ come se dicessimo ai creditori sparsi nel mondo, quelli che hanno in portafoglio i nostri titoli di stato, d tenersi quei titoli per ricordo, noi intendiamo insistere nel debito per continuare a campare bene alle spalle degli altri. E’ come se un gentiluomo invitasse una gentildonna al ristorante, le lasciasse scegliere le pietanze più costose, e se ne andasse senza pagare il conto.
Poiché lo stereotipo è forte, non basta una nota dell’Ambasciatore a smentirlo. Bisogna che si faccia tutti qualcosa. Ad esempio: lasciare cadere l’ubbia che, riprendendo la sovranità monetaria, saremmo tutti più ricchi. La ricchezza si misura non tanto in quantità di banconote quanto in disponibilità di beni reali. Per produrre i quali occorre un impegno di lunga lena, ben più faticoso di quello di battere moneta.
Cosimo Risi
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