L’Italia s’impicca alla sua maniera: con la pasta che si spera made in Gragnano. Involontariamente la rivista tedesca coglie un aspetto, paradossale per gli altri e normale per noi, della vicenda italiana. Coglie la mutevolezza dei nostri atteggiamenti.
Fino a pochi giorni eravamo in preda ad una triplice crisi: politica, economica, istituzionale. Politica: a distanza di mesi dalle elezioni non avevamo un governo. Economica: ad ogni dichiarazione di qualche politico di rango l’Euro barcollava e lo spread aumentava. Istituzionale: veniva messa in discussione persino la più alta magistratura dello stato. Questo il giorno prima.
Il giorno dopo, nelle mani dello stesso discusso Presidente giura il Governo del cambiamento, presenti gli esponenti che avevano gridato al colpo di mano e che ora siedono compunti (non proprio tutti) nel salone del Quirinale in attesa di pronunciare la formula di fedeltà alla Repubblica.
La cerimonia del giuramento, che sia di un ministro o di un pubblico funzionario, è solenne sempre e comunque. Il civil servant, per dirla all’inglese, deve alla Repubblica lealtà, fedeltà, abnegazione.
E’ un dovere imperativo. Uomini prima disinvolti nei riguardi della Repubblica partecipano l’indomani alla Festa della Repubblica. Impettiti nei loro abiti scuri al fianco del Presidente, osservano i reparti militari e civili che sfilano lungo i Fori Imperiali. L’emozione è somma al passare delle Frecce Tricolori.
L’ammettono persino i più riluttanti. I proclami bellicosi della vigilia si stemperano. Della contro – manifestazione non v’è più traccia. L’unità nazionale sembra ritrovata sotto al magnifico cielo di Roma. Neppure le buche delle strade che hanno fermato il Giro d’Italia ostacolano la corsa dei Bersaglieri. E d’altronde i Bersaglieri hanno affrontato ben altre strade nella loro secolare corsa.
Il panegirico dell’unità nazionale è importante: non per suscitare sentimenti nazionalistici che avrebbero poco senso a cospetto della costruzione europea, ma per significare che il paese ha bisogno di coesione interna per le sfide esterne.
Tutto si muove attorno a noi. Se non vogliamo essere travolti dal vortice, dobbiamo aggrapparci ai punti fermi della nostra collocazione internazionale. Sul piano domestico possiamo fare determinate cose, altre possiamo farle solo sul piano esterno accettando tutte le condizionalità che ne possono venire.
Il matrimonio con l’Unione europea non è più indissolubile, il caso Brexit lo dimostra, anche se pare che i britannici si stiano pentendo del divorzio. Il vincolo di appartenenza si può dissolvere, ma i costi della separazione sarebbero insopportabili per una media potenza come l’Italia.
Senza lo scudo dell’Euro non andremmo lontano. Senza lo scudo della Commissione dovremmo fronteggiare da soli le bordate che ci vengono dagli amici americani a colpi di dazi. Senza lo scudo della sicurezza e difesa comune diverremmo terreno di scorribanda per i molti che nel mondo non ci hanno in simpatia.
La ragione d’essere dell’Italia è nella rete delle alleanze e delle relazioni che ha saputo creare nel dopoguerra e alimentare nelle stagioni successive. Alleanze e non subordinazioni.
Cogli alleati si può discutere con determinazione, purché si abbia l’obiettivo comune a tutti gli interlocutori che l’accordo alla fine va trovato. I pugni sul tavolo battiamoli quando giochiamo a tressette nelle serate estive, con la gazzosa a diluire il vino rosso. E’ quanto faceva mio nonno, nel Cilento d’annata, bussando a bastone.
Cosimo Risi