Dopo un lunghissimo travaglio, è così nato il governo a guida M5S-Lega.
Luigi Di Maio e Matteo Salvini, i due leader usciti vincitori dalle urne il 4 marzo scorso, hanno potuto sigillare la loro alleanza dopo una dolorosa e pericolosa crisi politico-istituzionale e dopo che il popolo italiano è stato costretto ad assistere a uno spettacolo incommentabile.
Da domenica 27 maggio, giorno nel quale Mattarella aveva declinato alla Nazione i motivi per i quali si archiviava il primo tentativo del giurista Conte, è davvero successo di tutto. Dalla richiesta clamorosa e improbabile, avanzata con toni sdegnati da Giorgia Meloni e Luigi Di Maio di impeachment del presidente della Repubblica – poi dissolta nel nulla – alle annunciate manifestazioni di piazza, a fibrillazioni di ogni genere. Già in serata, all’economista, Carlo Cottarelli, veniva conferito l’incarico di comporre un esecutivo tecnico che conducesse a immediate elezioni.
Al di là di quanto siano stati capaci di fare, nel bene e nel male, i protagonisti della vicenda, buona parte dell’accaduto, prende il via da un autentico capolavoro, si fa per dire, battezzato “Rosatellum”, la legge elettorale figlia della intesa Renzi-Berlusconi concepita pure nel malcelato intento di arginare la annunciata deriva grillina e contenerne gli effetti.
A prevalere, però, è stata un’altra legge, quella impietosa partorita dalla penna di Dante Alighieri nella Divina Commedia, detta del “contrappasso”. E così, dopo quasi tre mesi di melina e tattiche dentro e fuori i palazzi ed i partiti, la coppia di sodali, vincolata dal celeberrimo patto del Nazzareno, è stata relegata nelle seconde file dal nevrotico evolversi degli eventi.
In pochissimi giorni, mentre Cottarelli, con alto senso delle Istituzioni, prendeva tempo onde favorire il parallelo ed estremo tentativo di una soluzione politica e uscire di scena con rara eleganza, tutto si ricomponeva attorno al nome di Conte, nuovamente chiamato al Quirinale, ma con la lista dei ministri pronta e in bella copia.
La ragione della contesa era stata rimossa grazie alla paziente e abile opera del Capo dello Stato e alla virata di Di Maio e Salvini. Paolo Savona, l’economista che per le sue tesi sull’euro destava preoccupazioni all’establishment di Bruxelles, andava al timone del dicastero degli Affari Europei, mentre quello più nevralgico dell’Economia e delle Finanze veniva affidato all’omologo, Giovanni Tria.
Sul neonato governo molti mostrano entusiasmo e altri, perplessità. Nella situazione in cui versano le Famiglie, le Imprese, il Lavoro, l’Economia, il Paese, pro o contro che si possa essere, tutti, nessuno escluso, dovrebbero avere il sacrosanto diritto di ritrovare le ragioni per nutrire un minimo di fiducia e di indispensabile speranza.
Tony Ardito, giornalista
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