Comunemente l’insieme di queste possibilità (unione di più atti legislativi) sono definite “Istituti deflattivi del contenzioso”.
Il contribuente che riceve un accertamento fiscale, per evitare d’instaurare un contenzioso con l’amministrazione finanziaria o incorrere nella riscossione coattiva dei tributi, può attivare uno o più degli “Istituti deflattivi del contenzioso”.
Gli istituti deflattivi del contenzioso, che possono evitare d’instaurare un processo tributario sono:
- Autotutela
- Acquiescenza
- Accertamento con adesione
- Reclamo/Mediazione
- Ricorso Tributario
- Conciliazione giudiziale
Quello più conosciuto è l’autotutela.
Questo istituto (in essere da quasi 25 anni) permette di presentare una semplice istanza in carta libera all’ente che richiede il pagamento del tributo (Agenzia delle Entrate, Comune, Regione ecc.) per far rilevare che è stato commesso un errore senza, quindi, produrre ricorso al giudice tributario.
Le ipotesi in cui è possibile presentare domanda di autotutela sono richiamate nell’art. 2, c. 1 del D.M. dell’11/2/1997, n. 37 (che ha modificato la L. 30.11.1994, n. 656) come di seguito elencate:
- errore di persona;
- evidente errore logico o di calcolo;
- errore sul presupposto dell’imposta;
- doppia imposizione;
- mancata considerazione di pagamenti d’imposta, regolarmente eseguiti;
- mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza;
- sussistenza di requisiti per usufruire di deduzioni o regimi agevolativi, precedentemente negati;
- errore materiale del contribuente facilmente riconoscibile dall’amministrazione.
Fatto importante da tener ben presente è che l’autotutela non sospende i termini per produrre ricorso o mediazione. Bisogna, pertanto, accertarsi che la richiesta sia stata accettata dall’ente creditore, prima che scadano i termini per produrre ricorso o altro istituto deflattivo del contenzioso.
Caratteristica non trascurabile, di questo istituto, è che l’annullamento può essere effettuato anche se è già pendente il giudizio dinanzi alle Commissioni Tributarie, oppure l’atto è divenuto definitivo per il decorso dei termini per ricorrere o, ancora, nel caso in cui il contribuente ha presentato ricorso alla Commissione Tributaria e sia stato respinto per motivi formali (inammissibilità, improcedibilità, irricevibilità).
Con l’Istituto dell’acquiescenza il contribuente che ha ricevuto un avviso di accertamento può definire quanto accertato e ottenere una riduzione di 1/3 delle sanzioni amministrative irrogate. Deve, però, rinunciare alla presentazione del ricorso e anche all’Istituto di accertamento con adesione. Il pagamento in tal caso deve avvenire nel termine ordinario dei 60 giorni.
Con l’istituto dell’acquiescenza si possono definire anche gli atti con cui vengono irrogate solo sanzioni e beneficiare della riduzione di 1/3.
L’accertamento con adesione, invece, permette al contribuente d’interloquire con l’amministrazione finanziaria al fine di raggiungere un accordo, prima di produrre ricorso alla Commissione Tributaria. Questo Istituto lo si può attuare dopo aver ricevuto un avviso di accertamento o, anche, successivamente il controllo eseguito dall’Amministrazione finanziaria, o dalla Guardia di Finanza, nei casi di accesso, ispezione e verifica.
Nel caso di accordo con l’amministrazione finanziaria, oltre a una riduzione delle imposte, definite in accordo tra le parti, spetta anche una riduzione delle sanzioni amministrative nella misura di 1/3 del minimo previsto per legge e la non applicazione delle sanzioni accessorie.
La procedura di accertamento con adesione può essere attivata con invito a comparire, proposto dell’amministrazione finanziaria o, anche, dal contribuente che ha ricevuto l’avviso di accertamento. A proposito dell’invito, proposto dall’ufficio, va tenuto presente che se non si aderisce a comparire, non si potrà più invocare questo istituto per lo stesso atto (salvo dimostrare eccezioni e/o impedimenti ecc.).
Solitamente il contribuente può trovare conveniente proporre l’istanza di accertamento con adesione e avviare la procedura. La convenienza sta anche nel fatto che potrà avvalersi dell’allungamento dei termini per produrre ricorso alla Commissione Tributaria. Infatti la richiesta prodotta (in carta semplice), prima dello scadere dei termini di 60 giorni, sospende i termini per produrre ricorso alla commissione tributaria per altri 90 giorni.
In effetti si ha più tempo per procurarsi documenti e/o approfondire le tematiche per interloquire con l’amministrazione finanziaria; per sostenere e motivare le sue ragioni e addivenire, in tal modo, a un accertamento ridotto al quale aderisce. Trascorso il termine della sospensione, il contribuente che non avrà raggiunto un accordo potrà, poi, proporre ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale.
L’istituto del reclamo/mediazione è stato reso obbligatorio dall’art. 39, c. 9, del D.L. n. 98/2011 che ha inserito l’art. 17/bis nel processo tributario.
Dal 1° aprile 2012 questo istituto era applicabile ai soli atti emessi dall’Agenzia delle Entrate. Successivamente e a decorrere dal 1° gennaio 2016, la mediazione è stata estesa anche alle controversie relative all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, agli Enti Locali e all’Agente e ai Concessionari della riscossione.
Per il contribuente la mediazione può essere conveniente per i tempi brevi di conclusione della procedura, con una definizione concordata e con la possibile riduzione delle sanzioni al 35%.
La procedura permette di sospendere i termini per ricorrere alla Commissione Tributaria e, come per l’accertamento con adesione, sospende gli effetti dell’avviso di accertamento per 90 giorni. Quindi prima della scadenza dei termini per ricorrere alla Commissione Tributaria (i canonici 60gg.) si può presentare all’ente richiedente il tributo un reclamo/mediazione, in carta libera, e godere della sospensione dei termini per altri 90 giorni.
Bisogna tener presente che il reclamo è del tutto simile a un ricorso, cambia solo l’intestazione e la richiesta di mediazione. Per la sua stesura, quindi, bisogna tener conto di esporre bene i motivi e le proprie ragioni perché, in caso di mancata conciliazione l’atto prodotto, ovvero il reclamo/mediazione, può diventare ricorso ed essere utilizzato, nei successivi 30 giorni come costituzione in giudizio e iniziare il processo tributario innanzi la Commissione Tributaria. È importante tener conto, anche, che nessuna modifica può essere fatta sull’atto già presentato, perché alla Commissione Tributaria dovrà pervenire l’esatta copia del reclamo/mediazione precedentemente proposto.
Il reclamo/mediazione è possibile solamente quando l’imposta (escluso sanzioni e interessi) è inferiore a un limite fissato dalla legge. Per gli accertamenti notificati prima del 2017 l’importo massimo per produrre il reclamo/mediazione era di 20.000 euro.
Con decreto legge quest’importo è stato innalzato a 50.000 euro per gli accertamenti notificati dal 1° gennaio 2018, sempre al netto di sanzioni e interessi. Ne consegue che il reclamo/mediazione non è consentito per accertamenti di valore superiore.
Il ricorso tributario alla Commissione Tributaria Provinciale lo si presenta quando il contribuente, che ha ricevuto un avviso di accertamento, decide di non avvalersi degli istituti deflattivi del contenzioso e chiede ai giudici tributari l’annullamento totale o parziale dell’atto notificato.
Le Commissioni Tributarie (tre i gradi possibili) sono competenti per le controversie aventi a oggetto tributi di ogni genere e specie, compresi quelli regionali, provinciali e comunali, le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative, gli interessi e ogni altro accessorio, comprese le controversie di natura catastale.
Il contribuente può difendersi personalmente quando i tributi non superano i 3.000 euro, al netto delle sanzioni e degli interessi, ma deve fare molta attenzione e rispettare la procedura prevista per il contenzioso tributario. Per le controversie di valore superiore è necessaria l’assistenza tecnica di un professionista abilitato.
La conciliazione giudiziaria, invece, può interrompere il processo tributario in corso e far sì che non si arrivi alla sentenza della Commissione Tributaria.
Peculiarità di questo istituto deflattivo è proprio il fatto che la conciliazione si realizza dopo aver presentato il ricorso e nel corso processo tributario, dinanzi ai giudici delle Commissioni Tributarie ed è applicabile sia in primo grado che in secondo grado. La richiesta può essere proposta da entrambe le parti in causa, entro 10 giorni prima della data fissata per la trattazione del ricorso o, anche, dallo stesso giudice tributario che invita le parti a ricercare una possibile soluzione conciliativa.
Si concretizza, quindi, con accordo delle parti che conciliano nel corso della causa tributaria. Conciliazione, che se conseguita in primo grado, permette di avvalersi della riduzione delle sanzioni amministrative al 40% del minimo e, del 50%, se realizzata in secondo grado. In caso di mancato accordo la procedura contenziosa continua.
La norma è stata innovata e dal 1° gennaio 2016 consente di definire tutte le controversie tributarie, in attuazione degli art. 48, 48 bis e 48 ter del processo tributario.
Dal 1°gennaio 2016 la conciliazione giudiziaria è possibile anche per le cause tributarie che ricadono nell’ambito di applicazione dell’istituto del reclamo/mediazione, non conclusosi con accordo tra le parti.
Scegliere se e quale istituto deflattivo è possibile attivare non è cosa difficile, ma neanche fatto del tutto irrilevante. Bisogna approfondire e valutare la motivazione contenuta nell’atto dell’ente accertatore, la fondatezza, i rilievi mossi e la convenienza di addivenire a un probabile consenso che, se raggiunto, permette di beneficiare della riduzione delle sanzioni e il pagamento a rate delle somme scaturenti dall’accordo.
Per approfondire: istituti deflattivi del contenzioso.