Per la (ri)partenza, sono state indicate due condizioni: a) la gestione alla Gesac di Napoli, che dovrà dirottare parte del traffico di quella aerostazione, b) la pista da allungare dai 1650 metri attuali ai 2000 e, poi, ai 2200, per consentire l’atterraggio degli aerei di grandi dimensioni.
Per la prima condizione, il 15/01/2018, il CdA di Gesac ha dato mandato all’amministratore unico di “provare tutte le strade per portare a casa il risultato della fusione” (cit.). La parte amministrativa dovrebbe essere conclusa entro il 2018 proprio con la fusione societaria, mentre quella organizzativa e operativa dovrebbe chiudersi nel giro di almeno due-tre anni.
Il 04/04/2018 è stato poi firmato il protocollo d’intesa tra Regione, Gesac e Società Aeroporto per la predisposizione del Piano Industriale preliminare agli interventi di adeguamento e di ampliamento dello scalo. La spesa per gli investimenti è stata indicata in 120 milioni di euro a carico della parte pubblica, di cui 40 dallo Sblocca Italia e 80 da altre fonti, e 122 a carico della Gesac (fonte “GeT”). Il tutto per consentire all’Aeroporto di gestire dal 2022 al 2034 fino a 3,5 milioni di passeggeri per arrivare a 5,5 entro il 2043 (!).
Per la seconda condizione, l’allungamento della pista a 2,2 chilometri, che dovrebbe partire entro il 2018 pena la perdita dei finanziamenti pubblici (s.e.), richiederà almeno un anno e mezzo di lavori dopo le procedure di esproprio di circa 50 ettari di terreno fertile, con produzioni della cosiddetta IV gamma e abitazioni rurali, che sembra sia diviso tra circa 90 proprietari. Solo per notizia, riferiamo che già risultano inoltrati i primi ricorsi al Tar anche con riferimento ai danni sulla salute pubblica.
Intanto, nell’Ottobre 2017 il Ministero delI’Ambiente ha approvato la VIA predisposta dall’ENAC. La procedura si è conclusa con la prescrizione di quattro monitoraggi: la qualità dell’aria, l’inquinamento acustico, la presenza di fauna a rischio, la verifica puntuale della progressione dei lavori. Una VIA condizionata, quindi, perché l’area dello scalo è sotto tutela paesistica e, in parte, archeologica.
Fatte le premesse, con salvezza di ogni possibile errore, osserviamo che oggi lo scalo funziona praticamente “a richiesta” e gli unici voli sono sostanzialmente quelli privati e di qualche aereo dell’aviazione generale. Ovviamente, nonostante i numeri ridottissimi, debbono essere assicurati i servizi di assistenza e sostenuti i relativi oneri che, da quanto appreso giorni addietro, hanno causato negli ultimi tre esercizi un passivo di 4,845milioni di euro da ripianare, crediamo, prima della fusione con Gesac (fonte “Il denaro”).
Noi non riteniamo di poterci avventurare nella discussione dei “numeri futuri” dello scalo, anche perché siamo convinti che i business plan sono semplici costruzioni algoritmiche. Basti pensare alle favorevoli analisi della Bocconi di Milano per l’aeroporto di Foggia, oggi praticamente inattivo.
Non ci sfuggono, però, i numeri storici: lo scalo, pur dopo i dati ufficiali 2011 dell’ENAC che denunciava circa 25.000 passeggeri in transito con gli aerei “regional” di Alitalia e Air Dolomiti e la pista corta, ha registrato un successivo andamento “in picchiata” per l’abbandono da parte delle compagnie aeree a causa dell’insufficiente redditività delle linee.
Al punto che, negli ultimi anni di attività, non si è riusciti a riempire neppure un bimotore da 40 posti. Qualcuno, poi, ricorderà di un volo per Catania con un solo passeggero a bordo!
Cioè, non è stata la deficienza strutturale a causare il deludente andamento dello scalo ma la incapacità del territorio di assicurarne un funzionamento economicamente proficuo.
Ora spetta alla Gesac dimostrare il contrario. E metterci i soldi. Intanto, però, nulla si sa del previsto trasferimento dei primi aerei già con il corrente mese di Giugno (fonte “Il Mattino”).
Per i voli in partenza, abbiamo letto che i viaggi per turismo coprirebbero circa il 90% sia con linee dirette, verso le destinazioni prescelte, che indirette, con trasbordo presso altri scali.
E che anche per gli arrivi sarebbero prevalenti i viaggi per turismo. Su questo, concordiamo in pieno, a meno del lunedì e venerdì per il pendolarismo dei nostri giovani. Purtroppo.
Secondo gli studi, in entrata lo scalo sarebbe utilizzato dal turismo interessato alla Costiera Amalfitana dato che si arriverebbe a destinazione in meno dei 30/40 minuti, o anche più, previsti da Napoli.
Noi, che conosciamo i luoghi, esprimiamo qualche perplessità. Perché, mancando la rampa di accesso dalla strada “Aversana” alla tangenziale, gli autobus dovranno fare il “giro largo” per l’autostrada SA-RC fino ad incastrarsi tra i camion e i container del viadotto Gatto. Né potranno percorrere lo stretto tunnel alla fine dell’Aversana sotto la tangenziale, budello sporco, orrendo, degradato, devastato, immondo, che farebbe vergognare un paese del quinto mondo (se esistesse).
C’è, però, anche la Costa sud. Già. Proviamo ad immaginare di percorrere l’Aversana: come si può pensare che quella strada, che porta a perdersi nei campi, possa essere la via di transito per flussi turistici di qualità? Abbiamo 40 km di spiagge dove – per “fare turismo”(!) – qualcuno ritenne di realizzare la “pista ciclabile più lunga d’Italia”, costata, pare, oltre 12miliardi di lire, sulla quale non si passa nemmeno con il triciclo. Una pista che parte dal nulla, a Magazzeno, e finisce nel nulla, a foce Sele, abbandonata ai rovi e alle sterpaglie, deturpata, vandalizzata, incendiata, sede di bivacchi e luogo di prostituzione.
Eppure quell’area potrebbe essere un volano per l’aeroporto.
Perché, con i tanti scali oggi presenti, non è più un aeroporto a fare da volano rispetto al territorio, ma esattamente il contrario.
Basterebbe superare egoismi e localismi e dare vita ad un unico, ambizioso, progetto di ridisegno della fascia costiera con la realizzazione di insediamenti residenziali, alberghieri, turistici, sportivi, aree verdi, parchi a tema e parchi archeologici. E’ stato fatto in Emilia Romagna. Siamo inferiori? Eppure si muoverebbero ingentissimi capitali, si darebbe lavoro alle imprese per almeno quindici anni e si trasformerebbe l’intero litorale in fonte certa di occupazione e reddito per le giovani generazioni.
Diceva un vecchio saggio, “per antico pelo”: non si può comprare lo “scuriazzo” (frustino per i cavalli) prima della carrozza.
E lo “scuriazzo” ci costerà fino a 240 milioni. Per far ripartire, forse per il 2043, il nostro scalo.
Chiediamo, da sempliciotti: ma, con quei soldi, non sarebbe meglio far crescere prima il territorio e le imprese e creare lavoro per i tanti giovani disoccupati? Fra 10/20 anni, non ci saranno più.
Intanto, facciamo funzionare bene lo scalo che c’è. E’ stato fatto in passato, pur con la pista corta.
I nostri giovani hanno bisogno di amore.
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