“La ricerca, lo studio e la promozione di quanto è accaduto negli ultimi cinque decenni e accade oggi nel campo delle arti visive nella nostra provincia e nella nostra regione – scrive il Sindaco Gianfranco Valiante nella premessa al catalogo – è la cifra, come ho avuto modo di ricordarlo in più occasioni, che contraddistingue l’attività del Fondo Regionale d’Arte Contemporanea di Baronissi, facendola una realtà culturale che da tempo si è affermata sulla scena dell’arte nazionale.
In tale registro si iscrive oggi la mostra dedicata all’opera di Enzo Cursaro, un artista originario della Valle del Sele e che, per oltre due decenni, ha vissuto in altre città italiane, per poi tornare a vivere stabilmente nella sua Paestum. In mostra, secondo il percorso espositivo tracciato dal direttore del FRaC, il prof. Massimo Bignardi, le opere che documentano trent’anni di pittura; dai grandi dipinti che datano i primissimi anni novanta ai recenti, in parte già esposti da Cursaro nelle mostre personali tenute al Palazzo Ducale di Mantova, poi a Palazzo Agostinelli di Bassano del Grappa, a Salerno nei primi del Duemila e, lo scorso, a Paestum”.
“Sin dai lavori eseguiti nei primi anni ottanta, quando l’ho conosciuto – rileva Bignardi – Cursaro ha esibito un segno che scava in profondità, nella materia del colore, al suo interno, fino ad assorbire, è quanto osservavo in quegli anni, le irregolarità e la porosità del fondo, della trama della tela che l’artista avvertiva come muro, un effettivo campo d’esistenza. Pratica che oggi trova un ulteriore riscontro anche se il segno ha acquisito una cifra calligrafica: il gesto rapido emotivamente espressionista delle opere precedenti, ha ceduto ad una sorta di regolarità.
Nella prospettiva operativa dell’intervento sulla parete della fabbrica Ciro nel Parco Archeologico di Paestum nel 2016, per fare un esempio rispetto ad opere recenti, ha fatto presa, a danno di quel lirismo che gli è proprio, la memoria di un ordine formale giocato tra il ricordo del museo e le gerarchie di barattoli di conserve di pomodoro allineate negli scaffali del deposito. Attesta, cioè, forte la convinzione che il continuo fluire delle immagini nella mente (la ‘durata’ per Bergson) sia stato per Cursaro il movimento emotivo tra presente e memoria. L’idea di un tempo unico, così come in fondo la gestualità propria della sua pittura attesta, si è fatta maggiormente evidente nella lettura a distanza che la fotografia dell’intervento ci offre”.
La mostra resterà aperta fino al 15 luglio.
ENZO CURSARO nasce a Paestum nel 1953; segue i corsi di pittura del maestro Domenico Spinosa presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli ove si diploma nel 1978. Da tale ambito si sviluppa il suo interesse verso composizioni astratto-informale, che riprenderà, in seguito, negli anni novanta. Per circa trenta anni (1983-2012), ha vissuto stabilmente a Verona, dove ha insegnato storia dell’arte e discipline pittoriche presso le scuole statali.
Tornato a risiedere nel territorio che lo ha visto nascere e formarsi artisticamente, ha da subito attivato una serie di iniziative artistiche tra le quali l’importante collaborazione al progetto, Sancta Venera, allestito nel 2016 nell’area del Parco archeologico di Paestum. Nella seconda metà degli anni settanta, appena uscito dall’Accademia delle Belle Arti, inizia il suo rapporto con la storica Galleria d’Arte San Carlo diretta da Raffaele Formisano, entrando così a far parte attiva di un gruppo di artisti appartenenti all’area del Mezzogiorno.
La collaborazione con la galleria San Carlo gli permise di aderire a diverse rassegne espositive: dall’ExpoArte di Bari, già dal 1983 alla Biennale d’Arte di La Spezia; nel 1984 è presente con il gruppo di artisti della galleria napoletana in una collettiva allestita alla Galleria d’Arte Moderna di Loiano (BO). Dalla metà degli anni ottanta apre a mostre allestite in ambito europeo; nel 1985 espone in Spagna, nel 1989 è in Francia; nel 1990 in Germania alla Schlossgalerie di Norimberga.
Nel 1996 una delle più importanti gallerie d’arte contemporanea italiane, la Galleria La Città di Verona, lo presenta con una sua personale all’Arte Expo di Frankfurt, occasione nella quale espone alcune opere tratte dal ciclo “Pietre Pittoriche”. Una parte rappresentativa di queste opere sono state pubblicate in un catalogo edito arte&Arte con testi del critico Michael Haggerty e del critico Luigi Serravalli.
È nel settembre del 1998 che l’artista tiene la mostra personale Memoria, Forma-Spazio, allestita nelle stanze di Isabella d’Este oggi Museo di Palazzo Ducale di Mantova: è una mostra che dà conto di un audace cambiamento della sua ricerca, un’apertura intesa verso un universo che confrontato al precedente periodo risulta un immaginario coloristico meno sgargiante e acceso, scoprendo accordi pervasi da un lirismo più cauto e silenzioso.
Prende sempre più vigore ed efficacia una sequenza di opere che, per stile e cromia, si sviluppa, sostiene Gillo Dorfles, «in una potenzialità che attinge la propria potenza, proprio dalla assenza cromatica». Il colore nero bituminoso combinato con ampie superfici terrose sono sostanza e carattere conferito a tutto il ciclo pittorico 1998-2011. Un personalissimo dialogo tra la tattilità della materia e il pensiero meditativo, definito dall’artista «un dialogo tra me stesso e le forme delle cose».
Di questo lungo e fecondo processo creativo, fa parte il ciclo delle Sospensioni realizzato nel corso degli anni novanta, alle quali fanno seguito le opere Nero-Argento, e la serie dei Tondi che segneranno gran parte del primo decennio del Duemila. Una tipologia di quadri minimalisti e intensi per la predominanza del colore grigio-nero e con elaboratissimi interventi grafici dai colori argentei combinati con un sapiente uso delle terre.
Di recente, nel 2016, è presente nella citata mostra “Sancta Venera. Arte contemporanea e archeologia industriale a Paestum”, un progetto ideato dall’artista Sergio Vecchio, promosso da Gabriel Zuchtriegel direttore del Parco Archeologico di Paestum e curato dal critico d’arte Massimo Bignardi, con la partecipazione degli artisti Angelo Casciello, Enzo Cursaro, Angelomichele Risi e lo stesso Sergio Vecchio. L’intervento è stato uno straordinario processo di rigenerazione di differenti luoghi: il sito archeologico di Santa Venera sepolto ancora e in parte sotto ex fabbrica della Cirio. L’artista ha lavorato sul tema delle Amphores, l’ultimo elemento simbolico tradotto da Cursaro con una vibrante scrittura segnica: forme di anfore volutamente piene di luce e di colori brillanti dalle forme tondeggianti se pur svuotate del loro peso e contenuto per lasciare solo la texture del segno a riferire sulla loro gradevole presenza-essenza mai del tutto compiuta; come il divenire del tempo.