Tu pronunci Mossad e subito pensi a intrighi ovunque nel mondo siano minacciati gli interessi israeliani. Il Mossad (Istituto per l’intelligence e servizi speciali) gode nella comunità spionistica di una reputazione immensa che è pari alla riservatezza con cui agisce. E’ tradizione che le operazioni imputate al servizio ricevano il classico “no comment” del governo: non confermate né smentite, in omaggio alla politica del servizio di lasciar intendere che tutto può e nulla ammette.
La storia comincia negli anni sessanta del XX secolo nell’allora allegra Damasco. Damasco, la capitale della Siria, non era la città devastata dalla guerra civile che imperversa da anni nel paese. Era la capitale laica di un paese arabo laico avente il difetto, agli occhi di Israele, di rifiutare l’esistenza dello Stato ebraico. La Guerra dei Sei Giorni (1967) non era ancora scoppiata ed il regime siriano era solido all’interno e si nutriva all’esterno della propaganda anti-sionista.
Aveva la sponda nell’Egitto nasseriano e si industriava col resto del fronte arabo per ricostruire un’alleanza che spingesse gli Ebrei in mare. Conoscere l’intento profondo del regime di Damasco per prevenirne le mosse era un imperativo per Israele. Il Mossad era incaricato della missione.
Il Mossad si vale di un agente del tutto particolare. Il suo nome è Elie Cohen, il nome d’arte è Kamel Amin Thaabet. Con questa identità da siriano di origine argentina, Cohen – Thaabet s’introduce nella buona società damascena fingendosi un ricco uomo d’affari. Col corteo di feste alcoliche e compagnie galanti, conquista le attenzioni dei maggiorenti del regime. Fa bere e divertire gli ospiti mentre egli si mantiene sobrio e lontano dalle distrazioni erotiche.
Ascolta e fa ascoltare le loro confidenze, carpisce segreti importanti fra cui quelli relativi ai preparativi che il regime intraprende in vista del nuovo attacco a Israele. Grazie anche alle sue informative, le Forze Armate d’Israele giungono preparate all’attacco programmato per il giugno 1967.
Come non accade nei romanzi dove James Bond è scoperto dal nemico di turno ma sfugge alla cattura grazie a qualche diavoleria tecnologica messa a punto da Q, nella vita reale Cohen è smascherato, imprigionato, torturato, condannato alla pena capitale. A nulla valgono gli appelli internazionali perché gli venga usata clemenza. La pena per impiccagione è eseguita nella piazza di Damasco a monito dei nemici: il regime siriano veglia sulla propria sicurezza ed è inflessibile con chi la minaccia.
Da allora gli sforzi d’Israele di riavere la salma falliscono. Governi come quello giordano interpongono inutilmente i buoni uffici. I dirigenti siriani cambiano nel frattempo, ma la loro determinazione resta intatta.
Ecco allora l’annuncio clamoroso. La salma è irreperibile, ma di Cohen il Mossad riporta a casa l’orologio, un pregiato Omega svizzero degno dell’uomo d’affari che Cohen interpretava nella sua tragica recita. L’orologio torna in Israele per essere consegnato alla vedova, la quale lo lascia in dotazione al Mossad.
Il Primo Ministro si congratula col Servizio per avere ritrovato una traccia dell’eroe, a riprova che Israele onora i suoi morti. La stampa israeliana plaude al successo del servizio ed in maniera forse non casuale comincia a parlare di Assad come di un alleato di fatto d’Israele: un alleato chiamato a sorvegliare la frontiera comune dalle incursioni delle milizie filo-iraniane. Romanzo spionistico e azione diplomatica s’intrecciano nel crogiuolo del Medio Oriente.
Cosimo Risi