Ogni due ore viene costruita un’area pari a piazza Navona; ogni secondo due metri quadrati di territorio vengono coperti con cemento e asfalto.
Il consumo di suolo è in aumento in tutta Italia, soprattutto al Nord, nelle regioni in ripresa economica. Il fenomeno è molto diffuso: in Lombardia, Veneto, Campania Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia. Il cemento invade anche aree a rischio idrogeologico e zone soggette a vincoli paesaggistici che sono quasi il 25%.
Secondo l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca che, nei giorni scorsi, ha presentato alla Camera dei Deputati il Rapporto Ispra-Snpa sul “Consumo di Suolo 2018 in Italia, si tratta per lo più di grandi opere, di infrastrutture, di edilizia di poli logistici o commerciali, quindi non necessariamente o prevalentemente di abusi, anche quando esse insistono in aree vincolate o tutelate.
Il 6% della cementificazione del 2017 è avvenuto in zone a rischio frana; il 15% in area a pericolo idrico e non sono risparmiati neppure gli ambienti protetti. Quasi 75mila ettari sono ormai impermeabilizzati, come il Parco Nazionale dei Monti Sibillini, in provincia di Macerata, dove 24 ettari di territorio sono stati consumati.
I Parchi nazionali del Vesuvio, dell’Arcipelago di La Maddalena e del Circeo sono invece le aree tutelate con le maggiori percentuali di suolo divorato. I danni provocati dal fenomeno superano i due miliardi di euro.
Nel merito, il parere di Sergio Costa, ministro dell’Ambiente, è molto chiaro: “C’è bisogno di una nuova legge per difendere il suolo dal consumo e dallo spreco. Vorrei che fosse introdotto anche il concetto di bilancio ecologico preventivo, rispetto alle autorizzazioni che si danno per le cosiddette cementificazioni o costruzioni”.
In Europa sono tanti gli esempi virtuosi e ci suggeriscono che dotarsi di città sostenibili consente a tutti di vivere e di abitare in armonia con la natura e l’ambiente, di avere una migliore qualità di vita, di evitare sprechi finanziari e speculazioni edilizie con le nuove costruzioni, e finanche di “rimodellare” gli edifici in disuso in nuove opportunità. Tutto ciò richiederebbe un approccio culturale ancora più coraggioso dell’ambiente, quale risorsa, e degli indispensabili spazi di vita, individuali e collettivi.
Tony Ardito, giornalista
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