Gli aspetti scientifici sull’argomento sono stati curati dal prof. Antonio De Cristofaro ordinario presso la facoltà di Agraria del Molise.
La coltivazione del castagno da frutto – oggi a pieno titolo considerata una coltivazione agraria grazie a recenti interventi legislativi regionali che hanno definitivamente eliminato un assurdo obsoleto equiparamento della coltura ai boschi – può e deve rappresentare un baluardo per la salvaguardia delle realtà socioeconomiche montane.
Tale coltivazione però, analogamente ad altri frutteti, non può prescindere dalla messa in atto di moderni sistemi di difesa dai patogeni che l’affliggono e che, a causa dei cambiamenti climatici e della diffusione di insetti esotici, si sono notevolmente diffusi e causano un decadimento quali-quantitativo delle produzioni. Tale è il noto caso del cinipide del castagno, importato nel 2002 in Piemonte, che ha causato un crollo vertiginoso delle produzioni e che oggi viene combattuto biologicamente con un altro insetto parassita utile il torymus.
Una difesa attenta con prodotti ammessi dal Ministero è pertanto una condizione essenziale per la sopravvivenza della coltivazione e richiede la esecuzione di pochi interventi mirati, 4-5 in un anno, certamente molto inferiore ai circa 40 trattamenti che nelle aree montane trentine vengono fatti per le note produzioni di mele acquistate dalle nostre massaie.
Purtroppo la disinformazione e la non conoscenza della materia ha portato spesso ad equivoci sia nell’opinione pubblica sia nelle amministrazioni locali non considerando che i trattamenti in un castagneto, effettuato con prodotti ammessi a bassissima tossicità, rilascia nell’ambiente quantità di prodotto centinaia di volte inferiori a quelli, simili, rilasciata nei nostri salotti dai collarini antipulci messi ai nostri cagnolini.
L’ignoranza della materia ha portato spesso alla emanazione di provvedimenti amministrativi da parte delle amministrazioni locali che tenderebbero prioritariamente alla salvaguardia dell’insetto utile rilasciato nei castagneti per la lotta biologica al cinipide ed ignorando che fin dal 2014 una ricerca scientifica effettuata dai servizi fitosanitari delle Regioni Campania e Piemonte e dal CNR evidenziava chiaramente l’assenza di effetti negativi derivanti dai trattamenti su tale insetto.
In mancanza di una razionale coltivazione del frutteto le produzioni subiranno nefasti effetti che renderanno sempre meno competitivo il prodotto sui mercati, le conseguenze saranno l’abbandono delle imprese e la riduzione dell’occupazione con seri riflessi negativi sulle delicate realtà socioeconomiche delle aree interne montane.
La CIA di Salerno è in prima linea sull’argomento e supporterà i produttori castanicoli per ogni problematica inerente la difesa della coltivazione sia mediante la formazione e l’informazione sia tutelando il loro costituzionale diritto ad esercitare l’attività di impresa.