A lanciarla, un olandese allora diciannovenne che oggi vede il suo sogno realizzato.
Per dar forma alla sua idea, Boyan Slat – questo il suo nome – aveva lasciato gli studi d’ingegneria aerospaziale e fondato la Ong Ocean Cleanup.
“Dobbiamo pulire, ma dobbiamo anche prevenire che la plastica entri negli oceani. Meglio riciclare, meglio usare questi materiali in creazioni di design e regolamentare questi rifiuti. Abbiamo bisogno di combinare queste soluzioni”, ha dichiarato.
Anni di test e di raccolte fondi e, giorni fa, l’impresa dell’olandese è finalmente partita. “Ocean Array Cleanup”, l’enorme tubo galleggiante si prepara a compiere il suo viaggio direzione Great Pacific Garbage Patch, l’infinita isola di polimeri che vaga nel Pacifico tra Hawaii e California.
Una superficie tre volte quella dell’intera Francia e due quella del Texas. Nella orrenda zuppa di plastica, fluttuano rifiuti dimenticati, destinati a restare in ammollo per secoli.
La barriera galleggiante, lunga 600 metri e con una forma ad U, si muoverà senza motore; spinta solo dalle correnti, dal vento e dalle onde. Attaccata ad essa, una sorta di gonna penzolante di 3 metri di lunghezza. Sotto la superficie dell’acqua catturerà i polimeri in ammollo, lasciando libero il passaggio si pesci.
Periodicamente, navi di supporto interverranno per rimuovere la plastica accumulata e riportarla a terra dove sarà riciclata. Se l’oggetto funzionerà o no, si potrà capire tra meno di due mesi, quando il grande tubo sarà nel cuore dell’Isola dei rifiuti. La speranza di Slat e dei suoi collaboratori è che entro il 2040 le barriere mangia plastica in azione saranno almeno una sessantina.
Il progetto “Ocean Cleanup” prevede di autofinanziarsi grazie alla vendita della plastica oceanica che alcuni brand, come Adidas, hanno iniziato a sfruttare comprendendone l’appeal sui consumatori. La pulizia degli oceani, per quanto efficace, da sola non può però bastare, è necessario combattere alla fonte l’inquinamento che sta lentamente uccidendo i mari del mondo con gravi ricadute anche sulla nostra specie.
L’auspicio è che questo “tubo magico” riesca a intrappolare tutta la plastica dell’ormai famigerata isola galleggiante. Non bisogna dimenticare, tuttavia, che questa è uno dei tristi risultati della sottovalutazione dei rischi ambientali che minacciano il nostro pianeta.
Per dirla con maggiore chiarezza, è bene che ciascuno di noi prenda consapevolezza che la sopravvivenza di molte specie, compresa quella umana, è direttamente legata allo stato di salute dell’ambiente. Impegnarsi per rispettare la Terra equivale ad allungarsi la vita.
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