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A Bruxelles è trattativa continua sul deficit (di Cosimo Risi)

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La cena di Bruxelles del sabato sera ha il menu tipicamente franco – belga. Entrée di pesce, piatto principale di carne, dessert, moka (caffè) con dolcetti secchi. Il pasto si consuma al Berlaymont, il palazzo a Rue de la Loi che ospita la Commissione. Il sabato sera andrebbe dedicato alla cena con l’amica / l’amico, se non a lume di candela, quanto meno in un ambiente meno freddo del palazzone brussellese.

Ed invece convivio per lavoro: un effetto collaterale dell’annuncio che il Governo italiano intende sforare il tetto programmato di deficit per portarlo a circa il 3%. Che vuoi che sia qualche decimale –  si nota a Roma –  altri stati membri hanno fatto e fanno di peggio: si pensi alla Francia.

Attorno al desco, Jean-Claude Juncker avrebbe intimato a Giuseppe Conte e Giovanni Tria di ridurre il deficit programmato di qualche decimale per portarlo tendenzialmente al 2%, dirottando certe somme dalle spese correnti agli investimenti.

Avrebbe poi chiesto un patto politico fra la Commissione ed il Governo perché Roma cessi le accuse verso Bruxelles, che i polemisti nostrani additano a responsabile di qualsiasi male affligga l’Italia. Ora anche del mancato intervento di Malta a soccorso dell’ennesima nave di migranti in rotta dalla Libia verso le nostre coste.

La Valletta girerebbe la faccia dall’altra parte e la colpa sarebbe di Bruxelles: un argomentare ardito quanto utile alla propaganda del giorno per giorno. Importa ripetere il messaggio fra il querulo ed il minaccioso affinché il popolo si convinca di essere assediato dai poteri forti (anche Malta?) e che il ricorrere al vecchio caro sovranismo (nazionalismo) lo salva “dallo stress e dall’azione cattolica” (copyright: Zucchero).

Juncker ha uno stile suo per porgere i messaggi. Da consumato frequentatore delle stanze europee alterna la bonomia alla furbizia. Se non stesse nell’ovattata Bruxelles, si direbbe che alterna il bastone alla carota. La carota è l’impegno della Commissione a presentare benevolmente il nuovo piano italiano ai partner europei. Il bastone è la minaccia di proseguire la procedura d’infrazione.

Tale procedura ha tempi lunghi e natura dialettica, l’Italia può controdedurre in ciascuna fase. Ha però un impatto sull’umore dei mercati. Questi si convincono che l’Italia ha un deficit non tanto di bilancio quanto di capitale reputazionale. Se la reputazione cala, cresce la sfiducia internazionale e con essa lo spread.

Pier Carlo Padoan ha cercato di spiegare il fenomeno a Porta a porta davanti alla Sottosegretaria 5S. La quale, forte evidentemente di studi in economia ignoti ai più, ha ribattuto che quelle di Padoan erano opinioni dello stesso, per nulla suffragate dalla dottrina.  Peccato che la prassi dia ragione a Padoan con lo spread attestato sui 300 punti.

Né la Commissione né i principali partner europei intendono spingere l’Italia verso lo stato di malato finanziario. La nostra malattia sarebbe contagiosa in seno alla zona euro.  La Francia è impegnata nella battaglia coi gilet gialli e nel calo di consenso di Macron.

La Germania sta studiando il dopo Merkel. Parigi e Berlino si astengono  dall’interloquire nel caso italiano, consapevoli che qualsiasi commento irrigidirebbe le nostre posizioni portando argomenti alla corrente sovranista.

Meglio che il lavoro negoziale sia condotto riservatamente dalla Commissione e che le pubbliche dichiarazioni siano rilasciate da stati membri meno ingombranti. Il paradosso è che gli stati membri in questione sono Austria e Ungheria, i nostri sodali sovranisti.

La partita continua, un cambio di fronte non è da escludere. E’ Bruxelles, bellezza.

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