Quando lo scrisse, non sapeva che si sarebbe adattato all’uscita di scena di una protagonista del XXI secolo. Angela Merkel è definita in tutti i modi. Il più incisivo, perché detto da un avversario, è dell’ex Ministro greco dell’Economia, quel Gianis Varoufakis aduso ad essere rappresentato sulla motocicletta: Angela è stata negativa ma ci mancherà, dopo di lei solo peggio.
Il giudizio è comprensibile. Nel braccio di ferro che tentò con le istituzioni europee e la Germania ebbe la peggio, fu spinto alle dimissioni dal Premier Tsipras che da allora, affidandosi alle ricette della Troika, ha riportato la Grecia sui binari della compatibilità finanziaria. I costi sociali sono così alti che alcuni, persino nel rigido Nord Europa, si chiedono se siano sostenibili dalla democrazia greca. Il precedente valga per l’Italia, altri vorrebbero spingerla allo scontro con il fronte del Nord.
Angela Merkel lascia la presidenza della CDU, non la Cancelleria, nella compunzione propria della sua cifra umana. A guardare le immagini di quando giurò da Ministra del Governo Kohl con quelle di oggi si nota la mutazione fisica: sono passati quasi due decenni di intenso lavoro.
Si notano la maturità tranquilla dell’espressione, la soddisfazione di chi ritiene di aver assolto il compito. Angela lo riassume in una frase non proprio commendevole per gli italiani: abbiamo evitato che la CDU facesse la fine della Democrazia Cristiana, che scomparisse dall’orizzonte politico a favore di movimenti già allora dai tratti del nazional-populismo poi imperante.
Angela ha riaffermato la centralità del partito tedesco, ossatura del Partito Popolare Europeo, fra la sinistra socialdemocratica e l’arrembante destra dell’AfD, l’Alternativa per la Germania. La centralità consente alla CDU ed all’alleata bavarese CSU di guidare la grande coalizione coi socialdemocratici. Di aver eletto il loro esponente di punta alla Presidenza dello Stato, di averne imbrigliato le pulsioni sinistrose a favore della stabilità.
La stabilità è il motto della Cancelliera, che ha cercato di imporre all’Unione europea direttamente e tramite il sodale lussemburghese, il Presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. Quest’ultimo, di suo, ci mette la tendenza latina ad abbracciare i signori e baciare le signore, ma sui conti resta fermo a quanto esce da Berlino e dalla vicina Francoforte della Bundesbank e della Banca Centrale Europea.
Nel suo lungo, e ancora vigente, mandato da Cancelliera, Angela ha incrociato vari Presidenti di Francia, con tutti e specie con l’ultimo esibendo affettuosità, innumerevoli Presidenti italiani, vari Primi Ministri britannici fino alla scostante Theresa May, con la quale non pare abbia un grande feeling.
Le riviste americane l’hanno eletta a donna più potente d’Europa ed una delle più influenti al mondo. Stranamente condivide il primato con Ivanka Trump, il cui principale merito è la vicinanza al padre Donald.
Di Angela si dice che veste sempre uguale. La critica estetica è l’ultimo argomento di chi non tollera che una donna venuta dalla Germania dell’Est ascenda le vette del potere politico senza essere sfiorata da scandali privati né pubblici. Una nota curiosa nel suo eccezionale curriculo è il cognome: quel Merkel ereditato dal primo marito resta il marchio d’una dirigente eccezionale d’un paese eccezionale.
Gli europeisti devono un riconoscimento a lei ed alla Germania. Senza la loro tenuta, l’Occidente europeo scivolerebbe verso l’atlantismo puro alla britannica o verso le simpatie pan-slave alla russa. Se l’Unione europea continua ad esprimere l’intimo sentimento del Continente, parte del merito va ascritto alla Cancelliera.
Cosimo Risi
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