Il DAESH s’intesta l’attentato a certificare che il Califfato è ancora attivo, malgrado le sconfitte sul terreno che ne hanno ridotto drasticamente il controllo territoriale in Iraq e Siria. Agisce in Europa grazie ai singoli individui “in sonno”, che si svegliano al richiamo che venga dal lontano centro strategico o dalle loro coscienze.
Il numero di attacchi portati a termine in Europa è diminuito rispetto agli anni di fuoco, la minaccia permane seria. Sono censiti migliaia di simpatizzanti, attivi specie in rete e all’interno di gruppi che si formano in carcere e fuori.
L’Italia presenta livelli di radicalizzazione inferiori rispetto a quelli di altri stati europei. E questo secondo vari indicatori fra cui l’efficace azione di prevenzione da parte delle forze di sicurezza. L’attenzione resta elevata, nessun paese è in principio esente dalle aggressioni, specie nei momenti di maggiore concentrazione come le festività invernali ed estive.
Il terrorismo che si esercita in Europa è operato da cittadini europei di seconda e terza generazione, educati nelle nostre scuole ed abituati ai nostri costumi. Essi modificano il loro atteggiamento fino al rifiuto totale del sistema perché si radicalizzano in rete o rientrano in patria dopo essersi addestrati nelle zone dei combattimenti: sono i cosiddetti foreign fighters (combattenti stranieri). La risposta europea non può che essere improntata alla massima fermezza senza per questo violare i principi fondamentali dei nostri ordinamenti.
Quando si tratta di Medio Oriente, il tema del terrorismo va trattato con cautela. Fa perciò discutere quanto affermato dal Vice Presidente del Consiglio e Ministro dell’Interno che, in visita al confine fra Israele e Libano, definisce come terroristico il Partito libanese Hezbollah. Il Partito ha un doppio volto, militare e civile. Il militare lo vede schierato sul terreno contro il DAESH e contro Israele. Il politico lo vede partecipe del complesso gioco politico a Beirut con i suoi deputati al Parlamento.
La dichiarazione provoca la messa a punto del Ministero della Difesa a tutela della missione UNIFIL (United Nations Interim Force in Lebanon). Questa è chiamata a sorvegliare il confine fra Israele e Libano, è composta in massima parte da militari italiani, è guidata da un Generale dell’Esercito. Il suo mandato è delicato: porsi fra i contendenti dando prova di neutralità, che è la migliore garanzia per la sicurezza dei militari.
Anni fa a Hebron visitammo un contingente di Carabinieri, integrato da militari di altre nazioni, con l’incarico di vigilare sulla difficile vicinanza fra Israeliani e Palestinesi. I Carabinieri indossavano una divisa bianca a riprova anche esteriore della terzietà. Si distinguevano per determinazione e disponibilità verso le popolazioni: ne meritarono il rispetto.
L’Italia contribuisce in maniera significativa alle missioni ONU nel mondo per mantenere la pace. Grazie a questo sforzo entrammo in Consiglio di Sicurezza nel 2017 e siamo considerati fra i paesi di riferimento per la strategia generale delle Nazioni Unite. I nostri contingenti all’estero sono esposti a seri rischi. Stiamo loro accanto con compostezza, sono la proiezione esterna dell’Italia coraggiosa.
Cosimo Risi