E possibilmente di brutto. Tipo: far fuoco atteggiandosi a boss. Poi posta la sequenza sul web. Se lo «scoop» è genuino o farlocco conta poco. L’importante è che le immagini siano verosimili.
Ultimo tocco di classe: non appena il «video choc» (definizione d’obbligo, puntualmente usata dai media che riprendono la notizia) diventerà trending topic (argomento di tendenza), il regista dei «frame dello scandalo» (altra espressione cara a stampa, tv e siti) dovrà rimuovere da internet il filmino: l’introvabilità della sequenza renderà infatti il dibattito ancor più avvincente.
Una dinamica ormai standard che ieri si è ripetuta con la storia di del baby cantante «napoletano» il quale prima ha «dedicato un brano neomelodico a un suo conoscente carcerato» e, alla fine della performance musicale, ha esploso due colpi di pistola in aria.
L’arma era vera? I colpi a salve? Boh. Fatto sta che il cortometraggio ha riscosso un successone con oltre 100 mila «mi piace», inebriando di gloria gli ideatori dell’operazione: artefici che, spesso e volentieri, appartengono al medesimo nucleo familiare del minore in stile gomorra.
Il brano dell’aspirante criminal-star si intitolato «Senza libertà» ed è, non a caso, rivolto «a una persona rinchiusa in galera».
La canzone è di un «noto interprete partenopeo», che ha «migliaia e migliaia di fan non solo in Campania». Il nome? Top secret.
Il bimbo, suo epigono, subito dopo avere finito di cantare, spara un colpo in aria uscendo dall’inquadratura.
Il consigliere verde della Regione Campania, Francesco Emilio Borrelli (specializzato in «video choc» e «frame dello scandalo») la butta sul sociologico, e anche questo fa parte di un collaudato repertorio: «Bisogna intervenire al più presto per individuare eventuali profili di azione dei servizi sociali e occorre una seria riflessione sull’emarginazione e il disagio sociale che colpisce i bambini delle periferie».
Intanto il fenomeno si amplia. La scorsa estate un altro «video choc» (rieccoci!) rese di pubblico dominio l’esistenza di un bambino rom che dal suo campo nomade a Milano si esibiva a ritmo rap inneggiando ai piaceri dell’illegalità prendendo in giro gli «sfigati» che si guadagnano da vivere onestamente.
Quando si dice l’integrazione.
Fonte Il Giornale.it